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I Giusti, modello per gli educatori e per i giovani

intervista a Don Gino Rigoldi

Trasmettere il valore degli esempi positivi dei Giusti ai giovani, creare con loro una relazione positiva, ascoltarli e renderli protagonisti. Ne abbiamo parlato con don Gino Rigoldi, cappellano dell’istituto penale minorile Cesare Beccaria e presidente di Comunità Nuova.

Secondo la sua esperienza di educatore, quanto conta la trasmissione di esempi positivi per i giovani?

La cosa più importante sono i comportamenti, i convincimenti e le scelte che fanno gli adulti di riferimento, quelli con cui queste persone hanno un rapporto educativo, una relazione vera. Certo è che la testimonianza, il racconto di episodi di giustizia vera - lontano da sentimenti più o meno retorici - è un elemento che dà grande dignità all’educatore e uno stimolo, un modello di pensiero, ai giovani.

In questo quadro, ritiene che i Giusti possano essere importanti per l’educazione alla responsabilità personale, per insegnare ad agire seguendo la propria coscienza?

Sicuramente sì, a patto che il racconto non sia retorico. Spesso si corre il rischio di beatificare le persone che hanno compiuto azioni esemplari come degli assoluti del bene, anche con l’utilizzo di un linguaggio molto lontano da quello della normalità di chi si impegna per la giustizia. Bisogna trovare un linguaggio di verità, essenziale, concreto, e in questo modo il racconto diventa credibile. Se invece diventa una narrazione gloriosa non funziona, perché anche il linguaggio ha la sua importanza per convincere ed entrare in contatto con i giovani.

Secondo la sua esperienza, qual è l’elemento fondamentale per creare una relazione positiva e costruttiva con i giovani?

Il primo passo da fare con i giovani è farli accorgere che tu stai guardano proprio loro, che li ascolti. Bisogna cioè dare importanza alle loro parole, trasmettere loro “qualcosa di tuo” trattandoli come persone concrete. I ragazzi infatti non sono degli utenti, ma degli esseri umani con cui dialogare; non sono dei clienti all’interno del grande pubblico, ma persone con cui scambiare pensieri, parole, delusioni e gioie. Un giovane deve essere “visto”, deve capire che stai parlando proprio con lui. Solo in questo modo può partire una relazione positiva.

Parlando di esempi positivi da trasmettere ai giovani, ritiene che il valore dei Giusti della Shoah possa essere ritenuto un valore universale, valido per l’umanità intera?

Assolutamente sì. La giustizia è infatti un bene universale, si è espressa in maniera grandiosa in occasione della Shoah ma si è espressa in modo altrettanto grandioso durante il genocidio degli armeni, in Sud Sudan, in Ruanda. Imbalsamare questo concetto in una data è limitativo, non è vero che diffondendo i Giardini dei Giusti si rende meno importante quanto è accaduto durante la Shoah, ma è vero invece che così si moltiplica il suo valore.

Per concludere, chi sono i Giusti oggi?

Secondo me i Giusti oggi sono tutti coloro che si guardano in giro, vedono le ingiustizie e ci mettono la faccia, il tempo, il denaro, la loro persona, la professionalità, il loro nome, a differenza di tanti difensori della giustizia “a parole”. Io ho in mente l’esempio del samaritano: davanti a un uomo percosso e in fin di vita, tutti quelli che lo hanno visto sono passati oltre senza soccorrerlo, fino a quando è arrivato il samaritano, che si è fermato e ha curato il bisognoso. Questo è per me il modello del Giusto.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

4 marzo 2014

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