Erdogan ha serrato i pugni: vuole "sradicare" il social network di microblogging e "se ne infischierà di ciò che dice la comunità internazionale". Ma anche all'interno del suo partito la misura ha suscitato pareri contrari. Il Presidente Gül in particolare ha usato proprio la piattaforma vietata per criticare la decisione del premier: "Il bando di Twitter è inaccettabile", ha scritto.
La comunità internazionale ha protestato sempre via Twitter.
Erdogan era indignato perché molti utenti digitavano accuse di corruzione al suo esecutivo. Tuttavia la sua misura, forse inattuabile come provano le numerose brecce già riscontrate, ha per ora generato un hashtag, #TwitterisblockedinTurkey, che la fa da padrona su Internet.
L'hanno usato con toni critici la Vicepresidente della Commissione Europea Neelie Kroes -"provvedimento infondato, inutile e vigliacco" -, il Commissario UE per l'allargamento Stefan Füle, che si è detto "molto preoccupato", e il portavoce del Dipartimento di Stato USA Jen Psaki: "Le democrazie sono rafforzate dal pluralismo delle voci".
In realtà, osservano gli esperti della politica di Ankara, il consenso intorno a Erdogan mostra segni di sgretolamento a partire dalle proteste di Gezi Park. Diverse visioni si scontrano in merito ai doveri e prerogative dello Stato e naturalmente a proposito dell'Islam. Dario Cristiani su Limes Oggi ha posto in evidenza i limiti del "matrimonio di interessi" di Erdogan con il movimento islamico Hikmet, fondato da Fetullah Gülen, che influisce sulle scelte politiche di Ankara ormai da decenni.
Le accuse di corruzione rivolte al governo Erdogan, in carica ininterrottamente dal 2002, sono molto diffuse in Rete dall'autunno scorso.
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