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Donna tunisina violentata vince la sua battaglia

poliziotti condannati a 7 anni

Meriem Ben Mohamed era appartata con il suo compagno in automobile quando alcuni poliziotti l’hanno fermata e stuprata. Per loro, lei era in “pose oscene” e tanto bastava a giustificare la violenza. Ma lei non si è arresa. La 27 enne ha continuato a denunciare il crimine subito e centinaia di persone hanno raccolto il suo appello, trovandosi a manifestare davanti al tribunale di Tunisi dove gli agenti erano sotto processo. 


Oggi siamo arrivati alla sentenza: sette anni per gli agenti stupratori. Inoltre il Presidente Moncef Marzouki ha presentato le pubbliche scuse a Meriem. È stato condannato, a due anni e mezzo, anche il poliziotto che aveva cercato di estorcere al suo fidanzato una somma in cambio di silenzio su quella che doveva rimanere un’onta per la vittima


La pubblica accusa aveva cercato di punire Meriem e il suo compagno per comportamenti immorali, ma la protesta delle attiviste e di molta gente comune ha sventato questo scempio. Le donne fuori dalla corte hanno gridato: “Lottiamo per Meriem, lottiamo per le donne tunisine”. Secondo uno psicologo che ha curato la donna, la battaglia per la sua dignità le è costata una “depressione che va ad aggravare una condizione di stress post-traumatico”. 


Le donne tunisine laiche sono preoccupate dell’avanzata degli ultraconservatori islamisti, sempre più attivi dalla cacciata di Ben Ali nel 2011. In seguito a una campagna molto tesa, la nuova Costituzione del Paese comprende una clausola che garantisce eguaglianza di genere nelle assemblee legislative e pone allo Stato l’onere di tutelare le donne dalla violenza. 


Con la primavera araba e la crescente polarizzazione del sistema politico internazionale tra Occidente democratico e Paesi autoritari emergenti, molti Paesi del Medio Oriente e dell’Africa vedono espandersi forze radicali come i wahabiti, nel Novecento considerati marginali, il Boko Haram (il cui nome significa “gli usi occidentali sono peccato”) e numerosi movimenti legati a sigle terroristiche. Sovente a fare le spese di questa predicazione estremista sono le donne, che sono colpite nella loro sfera più intima di autodeterminazione essendo private del controllo sui loro affetti e sul loro corpo. 

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