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L'eco delle città vuote

di Madeleine Thien Ed. 66th and 2nd, 2013

Giocato sul doppio registro dell’evocazione onirica e della memoria storica, questo romanzo testimonia come si possa coniugare la descrizione della verità con il coinvolgimento emotivo. Janie viene adottata da una famiglia canadese, dopo essere miracolosamente sfuggita al genocidio dei Khmer Rossi. In Canada frequenta l’università, si laurea in medicina, si specializza in elettrofisiologia, si sposa, ha un figlio. 

La sua vita sembra impostata sui normali binari di una routine borghese, anche se la donna manifesta inquietudini incomprensibili che si ripercuotono sul marito e sul figlio, sotto forma di abbandoni improvvisi e strazianti silenzi. Ma questa normalità manifesta la sua precarietà nel momento in cui il maestro e collega di Janie, Hiroji, decide di andare a cercare il fratello scomparso decenni prima in Indocina. 

Hiroji però non comunica a nessuno la sua decisione, scompare e non dà più notizie di sé. Janie intuisce la verità e si mette a sua volta alla ricerca dell'uomo. Una ricerca che, oltre a portarla sulle tracce dell’amico collega, la conduce a ritroso nella sua storia personale, alla sua infanzia cancellata e ai sui sentimenti rimossi. Attraverso una sorta di flusso di coscienza la protagonista diventa consapevole di ciò che le è accaduto: i legami familiari distrutti, la scomparsa dei genitori fagocitati nella macchina di sterminio dell’Angkar, il campo di “riabilitazione” in cui viene rinchiusa, il rapporto col fratello anche lui detenuto in un altro campo.

Parallelamente alla storia di Janie, si trascina un’altra vita, quella di James/Ichiro, il fratello di Hiroji. Per strade diverse i due sperimentano i medesimi orrori, subiscono i medesimi traumi e sono colpiti dallo stesso stato di disintegrazione degli affetti. James, giunto in Cambogia come volontario della Croce Rossa e fatto prigioniero dai Khmer, dovrà accettare la perdita della moglie e quella di un figlio nato mentre lui è in prigionia.

Questo romanzo interpella in modo urgente il senso dell’identità individuale, delle sfaccettature che la compongono e degli eventi che la mettono a rischio. Gli eventi che ha dovuto attraversare Janie le hanno tolto e restituito più vite. Ma, come dice la scrittrice alla fine: “… al buio, quando nessuno la segue, l’anima, il pralung, può rientrare da una finestra aperta, ti può essere restituita… Fin dall’inizio ci vengono affidate molte vite che conserviamo dentro di noi. Dal primo all’ultimo mattino lottiamo per portarle con noi fino alla fine”. 

Salvatore Pennisi, Commissione educazione Gariwo

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