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Il Museo “Fabbrica di Schindler”

Cracovia e l'occupazione nazista

“Il museo è uno dei luoghi
che danno l’idea più elevata dell’uomo”.
(André Malraux)


Quello che rende unica una visita a Cracovia è il fatto che gli itinerari da percorrere non si fermano nel centro storico della città, caratterizzato tra l’altro da un’architettura fantastica, ma creano il loro intelligente percorso in modo da poterla visitare tutta e scoprire tutti i suoi luoghi, anche quelli meno attraenti per l’occhio sensibile del turista: il vasto territorio del ghetto, la memoriale Piazza delle Sedie Vuote e la zona industriale con la fabbrica di Schindler. Questi ultimi luoghi non ispirano bellezza, non sono luoghi dove si desidera stare. Forse proprio perché la ragione del loro esserci sta nell’interrogare le coscienze di una nazione e di un continente, facendo aprire allo stesso tempo una ferita profonda di questa meravigliosa città polacca. Sono luoghi dove è il silenzio che interroga, ma non trova risposte.

Nella zona industriale di Cracovia, che rimarrebbe quasi dimenticata se non ci fossero le file di autobus che portano migliaia di turisti in ul. Lipowa 4, troviamo la storica Fabbrica di Schindler. Dopo che nel 1990 - anno nel quale Steven Spielberg, regista del film “Schindler’s List”, ha reso immortale il nome di Oskar Schindler, il Giusto tra le Nazioni che ha salvato la vita di 1200 ebrei che lavoravano nella sua fabbrica - le autorità di Cracovia hanno deciso di allestire un museo, per ricordare e far conoscere a tutti il nome di questa grande persona.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la fabbrica di Schindler diventò proprietà dello Stato e venne data in uso ad una compagnia di telecomunicazioni. Nel 2002, l’edificio fu abbandonato e acquistato dal Consiglio comunale, il quale, con aiuti del Fondo dell’Unione europea, nel 2005 lo rinnovò e lo trasformò in un museo. Da allora, il Museo “La fabbrica di Schindler” ospita una mostra chiamata “Cracovia: l’occupazione 1939-1945”, che narra la storia della città polacca in uno dei suoi periodi più tragici. Vi si racconta per cenni la politica del nazismo verso gli ebrei, dal 6 settembre 1939, data dell’invasione della città di Cracovia dalle truppe tedesche, fino al 1945.

L’allestimento di questo museo è curato in un modo molto creativo. Non è un tipico museo dove si può solo leggere la storia degli eventi passati. Ha qualcosa di irripetibile sia per gli spazi molto stretti che ci fanno ritornare indietro negli anni, per avere la possibilità di vivere i momenti vissuti dalle persone in quel periodo, sia per la scenografia  che caratterizza ogni stanza, dove si possono guardare dei filmati, ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti all’interno dei piccoli schermi, sentire i suoni tipici del periodo dell’occupazione nazista di Cracovia, suoni prodotti dagli aerei di guerra, dalle mitragliatrici, il rumore del tram sulle strade della città. Non rimane alcun dubbio sulla creatività con la quale si è riusciti a riprodurre con un’incredibile esattezza le immagini della vita a Cracovia durante l’occupazione nazista dal 1939 al 1945.

Salendo le scale ci si ritrova in una stanzetta con foto e dettagli che raccontano la storia degli ebrei a Cracovia prima della Seconda Guerra Mondiale. Le foto rappresentano persone che hanno una vita tranquilla, una vita quotidiana soddisfacente per quel periodo. Si prosegue poi stanza per stanza; le varie zone percorse riproducono diversi effetti sonori.

Quello che colpisce in modo particolare all’interno è un frammento di una stanza, forse lo spazio più luminoso, che offre una sensazione di ampiezza, con il pavimento di piastrelle bianche con la croce uncinata nera dei nazisti. Sempre in quella zona si trovano tanti documenti e libri di propaganda contro i polacchi e gli ebrei. Staccando lo sguardo da quel pavimento, ci si trova davanti, in alto, una grossa scritta: “Staats Theater des Generalgouvernements”. Questo spazio sembra voler ricordare il fatto che i nazisti tenevano molto ai loro momenti di svago e di cultura, ad una vita che aveva ancora sapore di certezza.

Più avanti, però, cadono le certezze, il dramma s’infittisce, si corre verso l’abisso del ghetto di Cracovia. Uno spazio molto stretto. Fermandosi qui per dieci minuti, insieme ad una quindicina di persone, si inizia a sentire la pesantezza del muro di cemento, composto da elementi di colore grigio scuro, che ricordano le forme delle lapidi ebraiche, arrotondate in cima. Sono la riproduzione perfetta del vero muro che isolava il ghetto di Cracovia, un frammento del quale è ancora conservato su una strada della città. Si ha la sensazione di essere isolati dal resto del mondo, di essere soffocati, di cancellare in un’istante i sogni per il futuro e le minime comodità di una vita normale.

In mezzo a questo percorso la presenza di Oskar Schindler passa quasi inosservata. Quello che ricorda la sua personalità è solo il suo ufficio, con la sua scrivania e la sua  macchina da scrivere, davanti alla quale sorge un enorme cubo di vetro contenente ciò che si produceva nella sua fabbrica: pentole, tegami, vassoi smaltati.

Le stanze finali sono angoscianti. L’insicurezza di quella vita è messa in evidenza quando si percorre un corridoio con poca luce, camminando su un pavimento di gomma, che dà l’idea di camminare sulle sabbie mobili, simbolizzando in tal modo l’oscillazione tra il bene e il male. Quale scelta fare? Nel museo la vita degli oppressori si alterna con quella degli oppressi. E noi, che scelta faremmo?

Successivamente, ci si trova in una stanza rotonda dove si alternano frasi di vittime e di salvati. Alla fine del percorso, sono esposti il “libro bianco” e il “libro nero”. Nel primo sono elencati i nomi e i cognomi dei Giusti. Nel secondo sono registrati gli atti compiuti dagli avidi, informatori, ricattatori, tutti quelli che durante la guerra hanno scelto di schierarsi con gli occupanti, ma senza che i loro nomi e cognomi siano specificati. L’identità di questi carnefici è volutamente nascosta mostrando registri apparentemente semidistrutti dal fuoco.

Ovviamente, non si può raccontare quel luogo nella sua essenza profonda se non vivendolo, facendone esperienza. Quello che si può affermare con certezza è che esso rappresenta la testimonianza di un passato capace di accendere ancora gli animi.


Cristina Croitoru, Yana Medvedyeva, Francesca Moriconi - Studentesse di Scienze Politiche
Giorgio Vecchio - Docente di Storia Contemporanea
Università di Parma

19 maggio 2014

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