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"Il sionismo sequestrato dall'estrema destra"

di Saul Friedlander

Il più grande storico israeliano dell'Olocausto ha appena ricevuto il prestigioso Dan David Prize. Anshel Pfeffer di Haaretz l'ha incontrato in un hotel di Tel Aviv, dove lui ha parlato di una società israeliana immemore del passato, dove si ripetono alcuni aspetti del nazionalismo degli anni '30 in Europa e la destra manipola la Shoah per i propri fini. Affermazioni senz'altro forti, che vogliono essere un monito di questo grande studioso e attivista della prima ora di "Peace Now". Le sue parole si inseriscono a pieno titolo nel dibattito sull'identità di Israele seguito al Giorno dell'Indipendenza (e della Nakba per i palestinesi) e all'importante riconoscimento della Shoah da parte di Abu Mazen.  

Seduto nella hall di un hotel di Tel Aviv, Saul Friedlander guarda con aria indulgente fuori dalla finestra, in direzione dei bagnanti fuori sulla spiaggia, ma non condivide il loro atteggiamento spensierato. È preoccupato per via delle notizie sul giornale aperto davanti a lui sull’argomento della nostra intervista. “Per ragioni personali e familiari sono contento di vedere il tessuto sociale e umano così accattivante di Israele”, dice, “ma è importante accantonare questa piacevole vita di Tel Aviv per recarci a Gerusalemme dove le faccende sono un po’ più complicate. Se ci si dimentica della piacevole vita quotidiana, si riflette un po’ e si legge il giornale, ci si arrabbia. Questo mi ricorda Leon Roth, che era il primo professore di filosofia all’Università Ebraica e poi è andato a insegnare (nel 1953) a Cambridge. Qualcuno gli ha chiesto perché abbia lasciato e lui ha detto: “Quando sono in Israele, tutto quello che leggo nei giornali mi fa arrabbiare. A Cambridge questo non succede”.


Si può perdonare il prof. Friedlander per come si adagia sulla sedia e si gode la vacanza. Il più importante storico dell’Olocausto israeliano, il veterano di questa materia, ha insegnato e scritto di Storia per oltre 50 anni in Svizzera e Israele, e dal 1988 all’Università di California. Ha vinto (nel 1983) l’Israel Prize, oltre che un Pulitzer per il suo resoconto imponente The Years of Extermination: Nazi Germany and the Jews, 1939-1945, che metteva in relazione le storie dei colpevoli nazisti, delle vittime ebraiche e degli spettatori passivi tedeschi. E sabato (il 18 maggio) ha ricevuto il prestitioso Dan David Prize dell’Università di Tel Aviv. Ma a 81 anni, un anno dopo essere finalmente andato in pensione dall’attività accademica, si preoccupa del futuro del Paese nel quale scelse di emigrare da 16enne profugo dalla Shoah, nel bel mezzo della Guerra di Indipendenza del 1948.


Non un sionista
“Sono legato a questo Paese. Il mio figlio maggiore e i miei nipotini vivono qui, ma non posso definirmi in sionista.Non solo perché mi sento estraneo a Israele, ma perché il sionismo è stato preso e perfino sequestrato dall’estrema destra. Si potrebbe dire che ero un sionista fino al 1968, quando scrissi un breve libro in francese sul futuro di Israele. Non penso di avere osato troppo, ma già allora scrivevo che non era giusto continuare a tenerci i territori con popolazione araba; nessuno li chiamava “palestinesi” allora. Io pensavo e penso ancora che questo potrebbe rovinare i valori della società israeliana dall’interno”.
Friedlander è consapevole che molti israeliani ed ebrei trovano difficile riconciliare le sue ricerche storiche, in gran parte incentrate sulla natura dell’antisemitismo nazista e l’inerzia della società tedesca e del Vaticano per tutto l’Olocausto, con la richiesta a Israele di attestarsi su confini più difendibili. “Già nel 1974, quando ho tenuto una lectio a Hillel a Los Angeles dove ho parlato delle mie ricerche e anche della politica di Israele, qualcuno dal pubblico mi ha chiesto: ‘Come può una persona così consapevole delle lezioni dell’Olocausto avere simili punti di vista da colomba?’ Io ho risposto che apprendere l’Olocausto può portare qualcuno a conclusioni di destra, ma può anche accadere il contrario, e ci si può trovare a sottolineare di più l’imperativo morale di accettare “l’altro”. Ma non mi sono mai chiesto perché nessuna di queste cose mi abbia mai reso paranoico o nazionalista. Per me la questione principale è sempre stata come l’individuo affronta la sua coscienza quando è posto davanti a ingiustizie e crimini”.


'La destra eccelle nell’utilizzare a propri fini l’Olocausto'
Come membro della prima ora di Peace Now, Friedlander si dispiace che i suoi colleghi della sinistra israeliana preferiscano non fondare i loro argomenti maggiormente sulle lezioni della Shoah “È un errore della sinistra cercare di conservarsi pura da questa parte così consistente della nostra storia. Hanno paura di trascinare l’Olocausto nel gioco politico, ma possiamo rigirare a nostro vantaggio il modo in cui la destra lo utilizza”.


Friedlander fondamentalmente si oppone all’uso politico dell’Olocausto, ma crede che la sinistra non abbia scelta, dato che la destra lo fa da 30 anni. “A partire dagli anni ’70, quando Menachem Begin descrisse Yasser Arafat come ‘secondo Hitler,’ abbiamo visto come la destra ha usato la Shoah e la sua memoria per giustificare posizioni sempre più radicali. Questo ha costretto la sinistra a ritrarsi perfino dal solo citare l’Olocausto. Personalmente, mi ha causato un dilemma quando ho visto come il tema al quale ho dedicato la vita è stato usato per solleticare gli atteggiamenti politici più repellenti”.


I primi libri che Friedlander ha pubblicato alla fine degli anni Sessanta, su Papa Pio XII, che è stato accusato di non aver fatto sentire la sua voce contro lo sterminio degli ebrei, e sull’ufficiale delle SS Kurt Gerstein, che passò informazioni sui campi di sterminio ai diplomatici occidentali, hanno determinato il tema su cui lui poi sarebbe ritornato, la condotta dei civili e leader religiosi tedeschi durante la guerra. E quelle sono le lezioni che vuole che gli israeliani apprendano oggi.


“Quello che mi ha affascinato è il modo in cui la gente può ignorare ciò che le accade intorno – e questo è qualcosa che oggi accade anche a noi. Nonostante i seri problemi sociali, l’israeliano medio può godersi la vita e ignorare la situazione politica in via di deterioramento, la violenza e l’impunità”.


Friedlander conosce la reazione contraria che aspetta chiunque paragoni ciò che accade adesso tra Israele e i palestinesi con i tempi bui in Eurooa, ma pochi conoscono quel periodo come lui. “Le cose che si dicono ora ricordano alcuni dei cattivi regimi degli anni ’30, ma non dei ’40”, dice, operando una distinzione chiara. “Ma è pericoloso fare di questi paragoni perché il lettore medio non distingue tra gli anni Trenta e i Quaranta. Il momento in cui qualcuno dice Germania fa subito pensare allo sterminio; si tratta di un terreno molto scivoloso, ma il messianismo politico e la sua connessione con la religione e il nazionalismo estremo come lo vediamo in Israele oggi somiglia alla componente principale dei movimenti di estrema destra europei”.


Nell’arco della sua carriera Friedlander era affascinato da ciò che chiama la “collisione tra il calcolo politico e gli imperativi morali". Ecco perché ho scritto di Papa Pio, perché avevo visto un aspetto diverso della chiesa nella mia infanzia”. I genitori di Friedlander furono catturati dalla polizia francese e inviati ad Auschwitz, dove furono assassinati. Lui si salvò perché fu nascosto in un collegio cattolico e pianificava, nel 1946, un futuro come prete, quando scoprì il destino dei suoi genitori, abbracciò l’ebraismo e divenne un giovane sionista.
Come storico, ha dissentito con le scuole di pensiero prevalenti sia in Germania che in Israele a proposito delle origini dell’Olocausto e dell’odio nazista contro gli ebrei. Lui vede una ragione “redentiva” dietro l’antisemitismo di Hitler, un particolare culto della morte che si incentrava sull’eliminazione degli ebrei dalla faccia della terra, diverso dall’antisemitismo tradizionale europeo. Questa interpretazione lo colloca su un piano distinto da molti storici tedeschi che cercavano di collocare la Shoah in un contesto più ampio di processi sociali e politici che hanno avuto luogo in Germania, e dagli storici israeliani, che vedono il genocidio come culmine di lunghi secoli di persecuzione che datano fino dai tempi dell’Inquisizione spagnola. Uno dei propugnatori di punta di quella teoria era Benzion Netanyahu, il defunto padre del primo ministro. “Ci siamo scritti anche se non eravamo d’accordo; lui era un ideologo estremo”, dice Friedlander di Netanyahu senior.


Un messaggio per Netanyahu
Benjamin Netanyahu, che cita ripetutamente l’Olocausto e altri eventi della storia ebraica nei suoi discorsi, è molto ben consapevole della storia. “Se potessi parlare con Netanyahu, gli direi, come storico, che mentre questo sembra essere un buon periodo – Israele è forte, non abbiamo una crisi o una guerra da affrontare – nel futuro forse verrà ricordato come un cattivo periodo della storia ebraica perché siamo coccolati da tutti i comfort della vita quotidiana e da un senso di sicurezza.Uno storico sa che un leader deve osare e prendere decisioni anche molto impopolari. Non so se Netanyahu si rende conto che questo è quello che deve fare ed è semplicemente troppo debole o se è effettivamente una persona condizionata dall’ideologia. Talleyrand una volta ha detto che un ordine dettato da Napoleone era “peggio di un crimine; era un errore” e anche un bambino può constatare lo stupido errore che il governo sta facendo continuando a opporsi alla divisione della terra in due stati”.

Traduzione di Carolina Figini

21 maggio 2014

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