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Aleppo, cento anni dopo

storia degli armeni di Siria

Nel 1915 Aleppo era popolata da musulmani, cristiani, ebrei e armeni. Con l’inizio del genocidio attuato dai Giovani Turchi, il 24 aprile, la maggior parte degli armeni fu deportata nella città siriana, controllata dagli ottomani. Da qui partivano infatti le terribili marce della morte attraverso il deserto.

Aleppo però non fu solo luogo di sterminio, ma divenne anche luogo di soccorso: dalla fine del 1915, infatti, il governo allestì nella città diversi campi profughi per gli armeni. Dopo il genocidio molti rifugiati partirono, dando vita al grande flusso della diaspora armena, ma altri decisero di restare, diventando siriani a tutti gli effetti.

Quasi cento anni dopo Aleppo è tornata ad essere un luogo di dolore per la comunità armena. La storia raccontata da Alia Malek sulla rivista Guernica (disponibile nel box approfondimenti, in lingua inglese) è solo una delle tante vicende degli armeni siriani costretti ad abbandonare la loro casa a causa del conflitto nel Paese.

Malek racconta la storia di Anto, discendente da una famiglia armena sopravvissuta al genocidio e rimasta in Siria, dove il nonno di Anto ha costruito una piccola pensione sulle colline a pochi chilometri da Aleppo. È il settembre 2011, quando i vicini di casa di Anto lo avvertono: la Siria non è più sicura per lui e la sua famiglia. Nell’uomo si risvegliano quindi le parole che il padre era solito ripetergli: “Così come abbiamo lasciato la Turchia per venire in Siria, un giorno potremmo andarcene anche da qui”.
Il 2011 è l’anno delle primavere arabe, della caduta delle dittature in Tunisia ed Egitto, e dello scoppio del conflitto in Siria. Ad Aleppo, però, le persone ancora credono che la guerra resterà distante dalle loro case, se ne andrà via così come è arrivata.

Per gli armeni la vita comincia ad essere complicata. Scrive Malek: “Nel caso crescente, religione ed etnia erano diventate una variabile pericolosa. La colpa era diventata collettiva: un individuo poteva essere colpito al posto di un altro della stessa setta o comunità, in un clima che diventava ogni giorno più violento e brutale”. All’inizio del 2012 Anto lascia la Siria e decide di tornare nella terra dei suoi antenati, quell’Armenia che aveva visto per la prima volta nel 1993, quando era ancora un Paese appena divenuto indipendente dall’Unione Sovietica e alle prese con il conflitto con il vicino Azerbaigian.

Al suo arrivo l’uomo trova uno Stato arricchito dalle rimesse della diaspora, con alberghi di lusso, uffici e negozi. Decide quindi di aprire un ristorante a Yerevan, la capitale, e di portare con sé la moglie e i suoi figli. È in Armenia quando, a luglio, la guerra arriva ad Aleppo. In poco tempo a Yerevan si rifugiano gli armeni di Siria, che vengono progressivamente accolti e integrati nella loro terra d’origine: il governo infatti fornisce loro patenti e documenti, istituisce scuole per i bambini e aiuta gli adulti a trovare lavoro e a trasferire le attività nel Paese.

Intanto la Siria continua a soffrire sotto gli scontri tra i ribelli e l’esercito di Assad. Tre anni dopo l’inizio del conflitto, gli armeni di Siria ancora non sanno “se anche questa volta la stabilità non sia un’illusione”.

30 maggio 2014

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