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"È il sangue del popolo!"

il Gen. Xu Qinxian si oppose al massacro di Tienanmen

Una sera di primavera, nel secondo mese di occupazione della piazza Tiananmen, la classe politica cinese fremeva per porre termine ai disordini. Furono convocati gli alti ufficiali dell'esercito per decidere l'uso della forza contro i dimostranti
25 anni dopo, si sa che uno di loro si oppose coraggiosamente. Era il Generale Xu Qinxian, a capo del prestigioso 38° corpo d'armata. Disse che il movimento studentesco era un problema politico che doveva essere risolto mediante negoziati.  Il Generale, che fu incarcerato per quattro anni ed espulso dall'esercito, secondo il giornale americano New York Times avrebbe dichiarato allo storico Yang Jinsheng: "Avrei preferito essere impiccato che passare per un criminale agli occhi della storia". 

Questo atto di sfida al regime comunista è emerso da una serie di documenti che i dissidenti sono riusciti a fare uscire dalla Cina negli ultimi decenni. Contrariamente a quanto si pensava, da questi file non esce il quadro di fazioni contrapposte all'interno dell'esercito. Piuttosto, si evince la preoccupazione dei vertici di Pechino che la protesta si trascinasse dietro i militari. Per questo, i membri più anziani del Partito Comunista premettero fortemente per l'epilogo di sangue. 

Alcuni dei documenti disponibili sul massacro del 4 giugno 1989, come i "Tiananmen Papers", sono controversi e se ne discute ancora l'autenticità. Si sa però per certo che erano pochi i militari che intendevano prendersi la responsabilità di sparare sui civili. Le istruzioni alle truppe inviate a Pechino erano vaghe. Si parla anche della possibile esistenza di una petizione interna all'esercito per chiedere il ritiro dei soldati.  

Un altro militare dissidente, il Col. Wang Dong, redasse una petizione contro la legge marziale. Ora che è morto, chiosa il New York Times, questa storia si può timidamente raccontare.  Il Colonnello Wang ebbe perfino colloqui con alcuni intellettuali liberali, che criticavano il movimento di studenti pubblicamente per la sua "ingenuità", ma intanto lavoravano segretamente per cercare di evitare il massacro. Wang però in questi colloqui clandestini aveva minimizzato il rischio di strage, perché, diceva: "Se il Partito Comunista spara sui civili significherebbe che vuole suicidarsi". Per molti, l'esito del confronto tra manifestanti e Partito non era per niente chiaro. 

Il numero dei morti non è stato mai calcolato con precisione. Potrebbe essere di un centinaio o di un migliaio di persone. Secondo il governo le vittime furono 300. Il giorno dopo il massacro c'erano fori di proiettile dappertutto. Ma soprattutto, ricorda un cronista, era apparso un graffito con la scritta: "È il sangue del popolo! Il sangue del popolo!". 

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