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Un monumento contestato

proteste in Piazza della Libertà a Budapest

Il "Monumento Vivo"

Il "Monumento Vivo"

Da diversi giorni Budapest è il centro di una serie di proteste pacifiche. L'oggetto delle manifestazioni è un monumento che il governo Orbàn voleva inaugurare per celebrare il settantesimo anniversario dell'occupazione nazista del Paese. Ne abbiamo parlato con la traduttrice ungherese Andrea Rényi.


Cosa sta succedendo in Ungheria?

Questa protesta ha origine nel monumento che il governo ungherese di centrodestra di Viktor Orbán voleva inaugurare in Szabadság tér, ossia Piazza della Libertà a Budapest, il 19 marzo, per commemorare il 70esimo anniversario dell’invasione dell’Ungheria da parte della Germania nazista. Si tratta di una composizione con al centro una statua che raffigura l’Ungheria con le sembianze dell’arcangelo Gabriele attaccato da un’aquila, ed è un falso storico, perché attribuisce l’intera responsabilità dell’Olocausto ungherese - e di tutto quello che è successo in Ungheria per colpa del nazifascismo - soltanto alla Germania nazista, senza prendere in considerazione le gravi colpe ungheresi del governo Horthy, del regime di Ferenc Szálasi delle Croci Uncinate, i nazisti ungheresi. In ordine cronologico il monumento rappresenta l'ultimo dei tanti tentativi di revisionismo storico che caratterizza questo governo di centrodestra, rieletto in aprile.
Da tre mesi un manipolo di manifestanti scende in piazza ogni pomeriggio per protestare e riflettere attraverso spettacoli e interventi pubblici, con la partecipazione anche di uomini di cultura come lo scrittore Peter Esterházy e il direttore d’orchestra di fama mondiale Ádám Fischer - che in piazza ha diretto l’Inno alla Gioia.


Chi organizza le proteste, e cosa chiedono i manifestanti?

L'iniziativa è nata da sopravvissuti all'Olocausto, da discendenti delle vittime, da cittadini comuni che desiderano ristabilire la verità sulla storia recente del Paese. Tra gli organizzatori delle proteste c’è anche una delle grandi figure della storia contemporanea ungherese: Imre Mécs, condannato a morte per aver partecipato alla rivoluzione del 1956, in seguito amnistiato, ma sempre all'opposizione negli anni del regime di Kádár. E con lui sua moglie, Fruzsina Magyar, protagonista del teatro ungherese.
I manifestanti chiedono al governo di non negare le gravi responsabilità ungheresi nell'Olocausto, di ristabilire la verità storica e di agire di conseguenza. Per ricordare l'Olocausto, con oggetti personali delle vittime, gli attivisti hanno costruito un “Monumento Vivo” davanti al monumento tuttora coperto. Chi protesta indica l'esempio della Germania, che è stata in grado di affrontare il proprio passato, mentre l'Ungheria sta solo tornando indietro nel processo di elaborazione.


A suo parere, perché in Ungheria è mancata questa elaborazione del passato?

Sicuramente pesa molto il fatto che Orbán, al governo dal 2010, sia in buoni rapporti con l’estrema destra di Jobbik - partito dichiaratamente nazionalista e antisemita. Negare la responsabilità ungherese nell’Olocausto, costata la vita a circa 600mila ebrei degli oltre 800mila che vivevano in Ungheria prima della Seconda guerra mondiale, significa anche minimizzare la pericolosità e la presenza massiccia dell’estrema destra nell’Ungheria di oggi.


Proprio in relazione all’estrema destra di Jobbik, come valuta gli episodi di antisemitismo che si verificano nel Paese?


Durante il regime di Kádár, l’antisemitismo non era così̀ forte nel Paese. Forse continuava a sopravvivere in alcune case e in qualche contesto, ma ufficialmente non aveva voce e veniva condannato.
Dopo la caduta del Muro c’è stato un revival strisciante dell’antisemitismo, e qualche tempo fa un deputato di Jobbik ha addirittura proposto di schedare i parlamentari e i membri del governo di origine ebrea, per motivi di sicurezza nazionale. L'elemento più sconfortante di questo episodio decisamente increscioso è stato il silenzio dei politici. Probabilmente nella società ungherese l’antisemitismo è sopravvissuto, pur senza dare segnali forti, fino ai giorni nostri, e non trovando ora resistenza, si sta solo rafforzando. Non bisogna dimenticare che, poiché il Paese aveva una grande percentuale di cittadini di origine ebrea - molti dei quali occupavano posizioni elevate - si è sempre avuto a che fare con l'invidia. L’Olocausto infatti non significava soltanto sopprimere le vittime fisicamente, ma anche impadronirsi dei loro beni.
Per arginare questo fenomeno servirebbe un'azione forte e diffusa, che l'attuale governo sembra non voler espletare.


Tornando alle proteste di Budapest, come pensa che si possa evolvere la situazione? Come sta reagendo il governo Orbàn?


I manifestanti portano avanti una protesta pacifica, si recano in piazza, parlano, mostrano immagini del passato. Alcuni di loro, come Imre Mécs, sono stati portati via con la forza dalla polizia e denunciati a piede libero, perché hanno scritto sul telo che copre il monumento contestato e non hanno obbedito alle forze dell’ordine che chiedevano di sgomberare la zona. Ogni giorno, nelle ore in cui i manifestanti si presentano in piazza, ci sono presidi di polizia, mentre un agente filma quello che succede – il tutto con un elevato costo anche per lo Stato.
Non è possibile prevedere come si concluderà la protesta, ma credo sia importante diffonderne la voce. Va poi ricordato che nella stessa Piazza della Libertà di Budapest dove si vuole inaugurare il monumento che falsifica la storia ungherese, nell’atrio della chiesa evangelista riformata, è stata posta la statua a mezzo busto di Horthy, governatore ungherese collaborazionista, ma è stato lasciato anche il monumento ai soldati sovietici liberatori dell’Ungheria dal giogo nazifascista, eretto in epoca socialista. Insomma, Piazza della Libertà è un luogo in cui, attraverso i monumenti, affiora tutto il passato controverso del Paese.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

10 luglio 2014

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