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"Chi ha ragione in Medio Oriente?"

il contributo di Sandro Venturoli sul conflitto israelo-palestinese

Entrata del Santo Sepolcro a Gerusalemme

Entrata del Santo Sepolcro a Gerusalemme

"Chi ha ragione in Medio Oriente?". Ci si potrebbe anche chiedere "chi subisce le maggiori ingiustizie?”. È cosi facile schierarsi guardando al conflitto israelo-palestinese. Da una parte vi è la potenza militare dello Stato d’Israele sostenuta dall’Occidente, dall’altra un popolo, quello palestinese, schiacciato tra questa potenza e l’essere usato anche dai paesi arabi come carne da macello sin dalla loro radicale opposizione alla risoluzione 181 dell’ONU, quella che istituiva i due Stati d’Israele e di Palestina. Ci accostiamo a ogni questione in modo duale per scegliere da che parte stare, e poi è sempre quella in cui stanno coloro i quali noi riteniamo i buoni, gettando automaticamente gli altri nella posizione dei cattivi.

Già mettere uno di fianco all’altro i termini popolo ebraico e popolo palestinese è profondamente asimmetrico.

Il popolo ebraico ha una storia quadrimillenaria: è entrato in quella terra più di tremila anni fa, l'ha abitata pur in modo discontinuo sino al 135 dopo Cristo. L'editto di Adriano, che caccia gli ebrei da Aelia Capitolina, sarà superato dall’editto di un altro impero, quello Inglese, tra il 1920 e il 1947, sino alla risoluzione 181 che istituiva i due Stati d'Israele e di Palestina con un unico mercato. Risoluzione mai attuata per l'opposizione dei paesi arabi e dei loro alleati in funzione anti occidentale, anche perché tutta la fase che aveva portato alla diffusione della presenza ebraica in Palestina era vista come un nuovo tentativo occidentale di incunearsi in terra islamica. Seicentomila palestinesi furono spinti ad andarsene dai territori del nuovo Stato e seicentomila ebrei furono espulsi dai paesi arabi.

Questo è il vizio d'origine degli ultimi 60 anni in Medio Oriente. Il popolo palestinese con un'identità specifica nasce tra le due guerre più come reazione al sionismo che per istanze proprie. Sarà Nasser a favorirne e accompagnarne la nascita. E questo è proprio il punto apicale, la questione alla base di tutte le questioni: se ha diritto il popolo ebraico di stare lì, proprio lì in quella terra. Il mondo arabo e i suoi alleati dicono: “la presenza ebraica in Palestina è un'imposizione dell’Occidente dopo l’Olocausto, gli ebrei potrebbero stare in qualunque altro luogo del mondo occidentale". In molti ragionamenti si disconosce questo diritto del popolo ebraico. In quella striscia di terra tra il Mediterraneo e il Giordano ha dominato per secoli l'impero ottomano e i sangiaccati, che ne erano l’organizzazione territoriale, negavano ogni identità specifica araba se non nella grande cornice della Umma. La stessa parola Palestina è adottata dai Romani e non è stata mai utilizzata sotto l'impero ottomano e sino al mandato britannico.

Questo significa che il "diritto" palestinese di stare in quella terra è inferiore a quello ebraico? Certamente no! Lo Stato d'Israele, tolta qualche frangia isolata ed estremista, non ha mai messo in discussione questo diritto. Ma è proprio al popolo ebraico che molti non lo riconoscono, sia in modo esplicito che implicito. "Gli ebrei sono lì perché imposti dall'Occidente, dopo l'Olocausto, per liberarsi dei sensi di colpa sulla pelle dei palestinesi", questo il ritornello spesso ripetuto come una cantilena. Proprio questa posizione sostenuta apertamente da Hamas, Iran, Hezbollah e surrettiziamente dai loro alleati, da tante presunte sinistre nel mondo e dai mercanti di guerra, alimenta i demoni distruttivi e autodistruttivi presenti in una parte dei gruppi di potere israeliani.

È il colonialismo europeo, dopo lo sfarinamento dell'impero austroungarico e ottomano, che ricostruisce le nazioni arabe tirando delle righe sulle mappe. Il sionismo è la presa d'atto da parte ebraica, a fine ottocento, dell'impossibilità dell'integrazione nei paesi cristiani europei. L'ultimo grande pogrom fu quello dell'impero zarista all'inizio della seconda metà dell'Ottocento. C’è un bel saggio di Sennet sull'immigrazione che analizza il ghetto nella cosmopolita Venezia del '500. Questa storia non può essere letta limitandosi all'ultimo capitolo, quello terribile dei bombardamenti e dei missili. Ci sono in Israele forze che lavorano per la pace e la convivenza, tante e poco conosciute, persone che si incontrano, ebrei e palestinesi, credenti nella Tora, nel Corano e nei vangeli, laici e agnostici di entrambe le comunità; parlano insieme e fanno esperienza delle sofferenze dell'altro, riconosciuto nella sua umanità anche se viene chiamato il nemico, riconoscono le ingiustizie che ci si è reciprocamente provocate. Queste sono le forze da sostenere, perché solo da queste verrà la pace vera, quella che si fonda sui diritti di tutti. C’è un mistero nella storia del popolo ebraico: è l'unico popolo della terra che ha mantenuto la propria identità pur vivendo nella diaspora, a partire da Adriano. Proprio questa irriducibile identità dà fastidio e alimenta da secoli e tutt’oggi i demoni dell'antisemitismo

21 luglio 2014

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