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La Pace Perfetta

di Letizia Cerqueglini

Letizia Cerqueglini racconta la condizione esistenziale di una pacifista a Haifa durante il lancio dei missili da parte di Hamas. 

I tunnel di Hamas sono arrivati dentro i kibbutz del sud e gli abitanti si sono trasferiti nei kibbutz del nord. Quando il sud è sotto tiro, gli abitanti dei kibbutz del sud vengono ospitati gratuitamente nei kibbutz del nord. E viceversa. I soldati che si danno il cambio al fronte vanno a farsi la doccia, dormono, mangiano nelle case ormai vuote dei kibbutz del sud. Kippat Barzel localizza i razzi di Hamas, poi suona la sirena e hai un minuto per trovarti un riparo, poi o i razzi sono intercettati e scoppiano in aria o arrivano a terra. La prima sirena d’allarme del giorno in Israele la chiamano ‘il buongiorno’ e l’ultima ‘la buonanotte’. Logico, no? Si lavora a singhiozzo, per lo più si cerca di stare a casa con i bambini mentre gli uomini sono al fronte. Le donne fanno torte per i soldati, ne fanno talmente tante che i portavoce dell’esercito hanno dichiarato: ‘Basta, ché ci viene il diabete’. Stop the Yiddische Mame!

Miri, figlia di immigrati ebrei tedeschi nata in Israele, insegna lingua e letteratura araba da una vita all’università di Tel Aviv, e adesso, mentre tutte fanno torte e corrono al fronte, lei resta a casa a scrivere e guarda fuori dalla finestra. Poi prende il telefono e parla con me: “La letteratura israeliana non fa altro che parlare di figli… è tutto così assurdo. Resta dentro casa!”. Le disobbedisco e vado a Giaffa.

La notte raddoppia il suo nero sulla distesa del mare, all’orizzonte lontano resta un riflesso viola quasi innaturale verso Occidente. È così che alle dieci di sera lo vedi da Gaza, da Haifa, da Acco, da Tel Aviv, da Bat Yam, da Beirut, da Latakia, da Smirne, da Taranto. È così che l’ho visto tante volte ed è così che l’Occidente torna nei miei sogni: mentre lo guardo da Oriente. “Porca miseria, Letizia” dice il mio amico di questa sera, un giornalista italiano “pur con tutti i suoi guai, con tutti i suoi mali, la vecchia classe dirigente questo non l’avrebbe permesso! Non ci trattano più nemmeno come ‘un’espressione geografica’, ormai siamo solo ‘un’espressione folkloristica’!”. L’anima della storia non si lascia avvicinare con cautele. “Hai lasciato la prudenza in Italia?” gli dico, e mi becco un “Acida!”.

Il cameriere ci serve il pesce, e ci consoliamo come bambini del fatto che non ci hanno dato l’Europa che volevamo. Non c’è stata, nemmeno questa volta. Che linea abbiamo espresso? Quali strategie abbiamo proposto in questo interminabile Ramadan? L’Europa è dilaniata da una guerra economica: come possiamo parlare di pace tra Israele e Palestina quando da noi non c’è pace né giustizia sociale? Almeno quaggiù, in questa terra intrisa di sangue, la gente ha ancora qualcosa per cui lottare, un orizzonte, un cammino, dei motivi per cui indignarsi, tirare fuori la grinta. “La gente ha sete di giustizia” dico io, e lui mi riempie il bicchiere di bianco fino all’orlo. Spero veramente che la pace si possa costruire, prima che piova inaspettata dal cielo, solo perché i burattinai si sono stancati di tirare i fili. Un brindisi. O che piova pure, maledizione! “Chissà se gli adolescenti a Gaza o a Tel Aviv sognano di essere eroi del processo di pace?”, dico io con la nostalgia di quell’età. Lui di nostalgia ne ha più di me e questa sera si è messo una giacca azzurra, come se volesse ricordarsi di che colore è il mare di giorno.

In Israele, per esempio, si sogna di non doversene andare dal proprio paese per salvare le penne, di non dovere andare in guerra, a morire sparati, di dimenticare tutto il male e di potere studiare, viaggiare, conoscere gente e avere tante storie d’amore, una in ogni città del grande mondo, e di non dover correre in pigiama o in accappatoio nei rifugi quando suona la sirena. Yaakov si vergogna di uscire in pigiama per andare nel rifugio condominiale quando suona la sirena di notte: ma non se ne va a cercare donne nel grande mondo, resta a difendere a prezzo del suo pudore l’unica patria possibile del popolo ebraico. Romi fa alzare i genitori anziani e infermi dal letto e tutti insieme scendono nel rifugio. Una decina di volte al giorno. Gila invece fa l’ironia col dirimpettaio che la vede per le scale in accappatoio se la sirena la sorprende sotto la doccia. Ecco una vera sabra! Abdel, nel suo villaggio Beduino, nel rifugio non ci va: ci andava nel Novanta quando Saddam minacciava l’uso di armi chimiche, ma da allora in poi il rifugio non lo ha più usato. In quel tempo, i soldati israeliani avevano dato istruzione anche ai Beduini di indossare le maschere antigas quando suonava l’allarme e la madre di Abdel per poco non morì soffocata dalla maschera, perché non sapeva che doveva aprire il boccaio… sono passati vent’anni e lei non c’è più a ridere coi nipoti di quella incredibile notte. Mary, che in Israele ci si è trasferita trenta anni fa per amore, dice che è tutta una routine, che si sta bene comunque, che si può lavorare, avere figli, fare la propria vita. Poi resta in silenzio e si fa pensierosa: mio nipote Ibrahim non vuole più dormire da solo, ed ha nove anni, mi dice. Juliette è araba cristiana, di una piccolissima comunità che è quasi tutta composta dalla stessa famiglia di esuli libanesi. Tutto il giorno sta dietro al computer perché dio le ha detto di ripulire il mondo dal male per proteggere le sue figlie. Da tutto. Salomon dice che Hamas vuole fare un grande atto dimostrativo, per dimostrare la sua superiorità strategica e militare agli occhi del mondo - arabo e non - e che solo dopo che ciò sarà accaduto potrà cessare le ostilità. Le ultime ore prima di ogni cease-fire, prima di ogni tregua, sono le più dure per gli israeliani. I miliziani sanno che potrebbero non avere più altre occasioni per combattere se la tregua dovesse trasformarsi in un armistizio, e allora sparano quanti più razzi possibile. Come la fine della fiera di San Giovanni. Pnina spera che l’America permetta ad Israele di difendersi. A me viene solo in mente Lucio Dalla ‘L’America è lontana, dall’altra parte della luna….’, le ho sorriso e non ho risposto niente.

Il mio amico mi riporta al presente e interrompe il filo dei miei pensieri “Pensa, Letizia, quanto ci costerà la benzina a settembre. Avremo belle sorprese quest’anno. La guerra qui e in Libia e in Siria, dove dovrebbe passare il gasdotto Russo. L’Europa non ha una politica energetica comune”. Bingo! Sarit me l’aveva detto da subito che i tunnel di Hamas erano pieni di armi iraniane, me l’aveva detto a primavera, prima che sparissero quei tre ragazzi. A Gaza esiste una città sotterranea dove Hamas vive come il Minotauro nel labirinto cretese. Quello dei tunnel è un business eccellente: gallerie dove passano camion, con aria condizionata, elettricità. Tutto. Migliaia di posti di lavoro e quindi legittimo consenso popolare. Così Hamas è andato al governo, legittimamente e democraticamente eletto. E questo significa che nessuno può controllare come spende i soldi e come impiega i materiali che arrivano come aiuti per la popolazione, dall’Europa, da Israele, da tutto il resto del mondo. L’unico problema è che la popolazione civile di Gaza non può entrarci per rifugiarsi quando Israele bombarda.

La notte è sempre più buia e al secondo bicchiere di vino mi accorgo del rumore e dell’odore del mare. Chissà che fine ha fatto il porto romano di Gaza e la città fenicia? Ci vorrebbe un ispettore della soprintendenza archeologica a controllare i lavori quando Hamas scava i tunnel. Lì sotto ci sono tremila anni di storia del Mediterraneo. Tremila anni e un giorno. Mille e una notte. E quello che mi preoccupa di più è il giorno dopo, the day after, come si diceva ai tempi del Vietnam. Il Vietnam era una giungla, ma le cose erano più chiare. Il deserto invece è fatto della stessa sostanza dei miraggi. Intanto non c’è più elettricità a Gaza e non si possono caricare i cellulari quindi non si ricevono più gli sms dall’esercito israeliano che avverte dove sta per bombardare. Ma la guerra non finirà nemmeno adesso, perché se la guerra finisce inizierà l’emergenza umanitaria e allora si capiranno i costi veri e propri della guerra, conti alla mano, tolte le armi. Finirà la ‘politica di occupazione’? Chi fornirà luce e acqua a Gaza? Chi ricostruirà le centraline elettriche? Chi controllerà l’uso degli aiuti umanitari (cemento, materiali edili per case, e scuole e ospedali)? Potrà Israele accertarsi che a Gaza non entrino armi? Che faranno le Nazioni Unite? Hamas si occuperà dei civili? Degli sfollati? Dove andrà la popolazione di Gaza?

E a quel punto forse lo capiremo, finalmente, che Israeliani e Palestinesi sono trattati dai signori della guerra, allo stesso modo, come carne da macello. Che la guerra è alimentata dal fanatismo internazionale per una parte e per l’altra e che i mostri si nutrono di buoni propositi. La notte è nera come petrolio e non distinguo più l’azzurro della sua giacca a pochi passi da me. Gli dico di restare ancora, nel buio che precede l’alba.

30 luglio 2014

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