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"Serve una collezione delle anime, non dell'orrore"

intervista a Svetlana Aleksievic

Anna Maria Samuelli e Pietro Kuciukian hanno incontrato Svetlana Aleksievic a Milano, in occasione della presentazione del suo nuovo libro Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo, edito da Bompiani e tradotto da Nadia Cicognini e Sergio Rapetti - che, nella recensione apparsa su Libero (cit. 26/9/2014), ha così descritto il lavoro della giornalista bielorussa: “panorama sconsolato nel prima e dopo del suo Paese, quello tracciato da Svetlana Aleksievic, un deserto dei rapporti umani e dei sentimenti in un popolo che sempre meno si abbevera alla grande cultura e letteratura cui ha dato vita nei secoli…Eppure, in pochi altri libri si sente con tanta forza il respiro della fraternità: quella “nell’abiezione”, certo, di un terribile passato, una fraternità magari negata,che però si invoca continuamente: quella di sorelle e fratelli che nel “silenzio della polvere”si cercano, sagome indistinte l’una per l’altra, e arrivano talvolta a trovarsi, a stringersi e abbracciarsi”.

Il colloquio con Svetlana Aleksievic appare oggi particolarmente significativo, alla luce degli ultimi attacchi sferrati dall’ organo ufficiale dell’Unione scrittori, “Literaturnaja Gazeta”, all’opera di Solgenitsyn, “Arcipelago Gulag, cheha fatto conoscere al mondo l’orrore concentrazionario sovietico. La neomilitarizzazione e l’esaltazione del patriottismo ultranazionalista alimentano la “statalizzazione della memoria”, che oggi in Russia sembra avere come effetto, oltre alla cancellazione dei segni materiali della memoria storica, il ridimensionamento dell’immagine del dissidente. Ma ancora più grave risulta il fatto che la narrazione dell’orrore del Gulag venga giudicato da Poljakov, il direttore del giornale, più romanzo creativo che testimonianza e descrizione della realtà. L’obiettivo è che nell’ex Unione sovietica si smetta di parlare di Gulag e di ricordare le vittime staliniane. A scuola, ha detto Svetlana Aleksievic, non parlano e non fanno pensare alla felicità, ma parlano e fanno pensare alla guerra.

Lei è una voce del “dissenso”, prima e dopo la caduta dell’URSS, un dissenso che Le è costato l’esilio. Quali speranze ha oggi che si possa influire sulle nuove generazioni nell’ex Unione sovietica? Può approfondire una Sua affermazione: “essere dissidenti verso il popolo è più grave”?

Negli ultimi anni la situazione in Russia è cambiata molto, soprattutto dopo che Putin ha manifestato le intenzioni militariste di difesa degli interessi russi in Ucraina e una nuova situazione si è creata in tutto il mondo. Dopo circa 12 anni di esilio sono ritornata in Bielorussia e mi sono trovata a vivereproprio in questa realtà. Il mio Paese, la Bielorussia, è unito alla Russia e crollerebbe se Putin cessasse di sostenerlo. Io che in 30 anni ho scritto cinque libri, tornando sono stata catalogata come “nazional-traditore”. I miei libri vanno contro il mito nazionalista e sono considerati dannosi. L’87% dei consensi in Russia vanno a Putin e alla sua idea della “grande Russia”. La riabilitazione di Stalin ha preso il via con libri e film di propaganda proprio da qui. Questa trasformazione ha avuto un lungo periodo di incubazione e noi democratici, convinti che indietro non si potesse ritornare, non ce ne siamo accorti! È una piccola percentuale quella che continua a credere negli ideali dell’Occidente. Su internet i miei libri suscitano molte reazioni negative, mi mettono al muro, mi minacciano: “La grande Russia c’è sempre stata, tu sei un traditore”! Ci sono alcuni cartelloni che condannano letterati, musicisti, scrittori, altri che indicano come “amici della giunta militare “ i sostenitori dell’Ucraina. Boicottano concerti e conferenze, e quello che è grave, lo fanno con il sostegno del popolo. È preoccupante che oggi sia il popolo ad essere contro le tue idee. È normale essere dissidenti rispetto al potere, è più grave rispetto al popolo. Ai tempi sovietici avevamo e sentivamo il sostegno del popolo, oggi no! È difficile influire sui giovani poiché cercano qualcosa di nuovo o di vecchio in cui credere e Putin ha ridato al popolo il sogno di essere una grande nazione.

La nostra associazione Gariwo è nata dal raccordo delle memorie di un ebreo, Gabiele Nissim e di un armeno, Pietro Kuciukian. Nel Suo libro in molte parti si parla di profughi, di esilio, e c’è un capitolo che dà voce alla tragedia dei pogrom di Baku e di Sumgait. Nella voce della testimone armena, c’è il dramma della perdita di un mondo di bellezza e di bene, un mondo dove un azero e un’armena potevano amarsi e pensare al futuro. Che impressione Le ha fatto questa testimonianza? Ne aveva raccolte altre?

È lo sfacelo dell’URSS delle nazionalità, azeri contro armeni, tagiki contro russi, ceceni…Ho raccolto molte testimonianze di profughi a Mosca, ma questa è la più “forte”, se così si può dire! Ma quello che mi ha colpito di più è la mancanza di odio della protagonista che sente l’identità di dramma dei due popoli. Tutto si ripete… Ricordo la mia nonna che parlando dei pogrom del suo passato diceva: “eppure noi eravamo vicini, si beveva insieme!”Ho intervistato la signora armena tutto il giorno, era colta, bella, faceva lavori assai umili; sua figlia era predisposta allo studio ma non poteva studiare. Vivevano senza documenti, nella morsa della paura. Alla fine abbiamo pianto insieme. Diceva:”nella mia situazione ce ne sono tanti, tanti armeni e anche tanti azeri!” Non c’era odio!

Conserva ancora qualche speranza per il futuro della Russia in una realtà che Lei ha definito “militarizzata”?

Speranza? Questa situazione non è di breve durata! Ha vinto il partito della guerra, cui si aggiungono i nazionalisti, i patrioti e la Chiesa. Finché ci sarà Putin non cambierà nulla e poi seguirà un suo fedelissimo.

Io ho perso molti amici, intellettuali democratici che non la pensano più come me!

Lei ha detto: “noi minoranza di intellettuali democratici non siamo stati capaci di accompagnare il popolo nel processo di cambiamento dopo la caduta dell’URSS”. Noi in Europa e nell’Occidente non abbiamo forse mancato al nostro compito di aiutarvi ?

Si lavora anche a distanza! L’Occidente e l’America ci hanno considerati sempre un nemico. E oggi è Putin a dire che l’Occidente è un nemico. Ma noi potevamo fare di più! Dovevamo parlare al popolo come hanno fatto i polacchi! Non ci siamo preoccupati di cambiare la mentalità dell’homo sovieticus! Nel momento cruciale, mi riferisco ad esempio a El’cin, i politici hanno perso tempo nell’inerzia. Non siamo stati capaci di accompagnare il popolo nel cambiamento. Il potere ha sfruttato la nostra debolezza e si è collegato direttamente al popolo. Molta la propaganda. Ma dove è la coscienza, la responsabilità? C’è molta pazzia, e molta cattiveria, le sofferenze del popolo non si sono trasformate in libertà.

Noi abbiamo a che fare con la “memoria”, memoria del male intrecciato al bene, memoria di chi, di fronte ai carnefici, ha detto no, ha reagito, ha conservato il rispetto di sé e la dignità. La memoria oggi nell’ex Unione sovietica viene, giorno dopo giorno, cancellata. Ricordiamo il Museo di Perm, l’impegno di Memorial, Razumov, con il prezioso lavoro sui “nomi restituiti” a Levashovo. Come difendere e preservare quelle che Lei ha definito “piccole preziose isole di memoria”? Come difendersi da chi vuole “sottrarre” la memoria? Un libro come il suo ci aiuta, ma che altro si può fare?

Oggi si cancella la memoria. I miei libri in Bielorussia non vengono pubblicati. La memoria non può e non deve essere “statalizzata”! È la “salute” della società. Oggi ci viene sottratta. Per questo io ho scelto di andare nelle case, nelle famiglie, di entrare nell’animo delle persone, restituire la vita del “piccolo uomo” nella Grande Utopia. Queste voci non possono essere cancellate! Ognuna grida la propria verità. L’unica cosa preziosa è la memoria, e vale più di tanti tomi storici. Raccolgo le voci ed è come se tutte queste voci, queste parole componessero un dialogo tra le persone. E non giudico. Per me i valori sono quelli dell’umanità. La memoria del bene, questo è importante. Bene e male si intrecciano, ma la cosa importante è che emerga l’atto di bene. Non servono i discorsi, è l’espressione del bene che conta. Non collezione degli orrori, ma collezione delle anime!

Annamaria Samuelli, Responsabile Commissione educazione e cofondatrice di Gariwo

29 settembre 2014

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