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Il paradosso dell'Azerbaigian

tra Consiglio d'Europa e repressione del dissenso

La nazionale di calcio italiana si appresta a disputare la gara, valida per le qualificazioni agli Europei 2016, contro la squadra dell’Azerbaigian.

Al di là dell’aspetto sportivo, la partita è l’occasione per soffermarsi su questo Paese, che ha assunto - non senza polemiche - la Presidenza del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa lo scorso 14 maggio. A scatenare la protesta degli attivisti è stato il fatto che, per poter essere membro di questa istituzione, occorre rispettare alcuni criteri di base, fondamentali per qualsiasi Paese democratico, tra cui il rispetto dei diritti umani. Proprio questo aspetto risulta essere oggi molto problematico a Baku.

Negli ultimi mesi infatti la situazione nel Paese è gravemente peggiorata. Giornalisti e blogger vengono sempre più spesso arrestati con accuse discutibili e detenuti per mesi o per anni, mentre nuove leggi approvate dal governo di Ilham Aliyev impediscono alle Ong di portare avanti le loro attività, congelando i loro conti esteri.

Il Consiglio d’Europa è un’istituzione comunemente descritta come uno dei massimi organismi in difesa dei diritti umani, ma pochi sembrano accorgersi di questa stridente contraddizione che interessa l’Azerbaigian. Sicuramente il Consiglio non è stato in grado di arginare la portata della repressione del dissenso nel Paese.

Il bersaglio del governo di Baku sono attivisti, blogger, giornalisti, responsabili di Ong e avvocati per i diritti umani come Intigam Aliyev, leader della Legal Education Society - organizzazione impegnata nella preparazione di casi di contenziosi legali, formazione per avvocati e corsi di educazione ai diritti umani.

La situazione arriva al paradosso se si pensa che il Premio Internazionale per i Diritti Umani Václav Havel 2014, conferito dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, è stato assegnato all’attivista azero Anar Mammadli - fondatore dell’Election Monitoring and Democracy Studies Center - in carcere dal 26 maggio scorso. Il padre di Anar ha accettato il premio in nome del figlio, lanciando un forte messaggio all’Assemblea. “Anar dice che questo premio - ha dichiarato l’uomo - costituisce un grande sostegno morale e una dimostrazione di solidarietà non solo per lui e per l’organizzazione di cui è membro, ma per tutti i difensori dei diritti umani che oggi si trovano in carcere”.

E in carcere si trova Leyla Yunus, attivista per i diritti umani arrestata a luglio e accusata di alto tradimento. La donna, che faceva parte di un gruppo di lavoro impegnato nella stesura della lista dei prigionieri politici in Azerbaigian, è oggi tra i finalisti del Premio Sacharov per la libertà di pensiero, assegnato ogni anno dal Parlamento Europeo a individui o associazioni che si sono distinti nella difesa dei diritti dell’uomo.

9 ottobre 2014

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