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Václav Havel, un busto lo ricorda al Congresso di Washington

25 anni dopo la Rivoluzione di velluto

il busto per Václav Havel

il busto per Václav Havel (Andreas Pieralli )

Un onore di questo genere è riservato davvero solo ai più grandi. Il 19 novembre, nella Sala del Congresso di Washington, Dagmar Havlová ha scoperto il busto dedicato al marito Václav Havel, drammaturgo e dissidente perseguitato dal regime comunista, divenuto poi primo presidente della Cecoslovacchia (dal 1993 Repubblica Ceca) dopo la liberazione dal giogo sovietico. L’evento rappresenta in qualche modo l’apice delle celebrazioni del 25° anniversario della Rivoluzione di Velluto.

"Con questo busto vogliamo riconoscere che anche le persone comuni possono fare grandi cose" ha dichiarato John Boehner, presidente della Camera dei rappresentanti del Congresso. Alla cerimonia, aperta con gli inni nazionali dei due paesi, hanno partecipato inoltre il presidente della Camera dei Deputati ceca Jan Hamáček, l'ex ministro degli Esteri americano Madeleine Albright, che vanta origini ceche, e la capogruppo dei Democratici alla Camera Nancy Pelosi, che ha ricordato come la leadership di Havel abbia superato i confini del suo paese. Presente, infine, il premier ceco Bohuslav Sobotka che ha descritto questa onorificenza come “un omaggio a tutti coloro che non hanno ceduto alla repressione e hanno combattuto per la libertà”.

Sono solo tre gli altri europei che si sono meritati un tale riconoscimento: Winston Churchill, l’ungherese Lájos Kossuth e lo svedese Raoul Wallenberg. Il busto, opera dello scultore ceco-americano Lubomír Janečka, si fregia inoltre della compagnia di due giganti della politica americana, Abraham Lincoln e George Washington, la cui figure si trovano a pochi metri da quella di Havel. Se il Congresso non provvederà ad una ristrutturazione degli spazi, il busto di Havel sarà anche l’ultimo esposto data la mancanza di spazio. La realizzazione della scultura è stata finanziata dalla Fondazione della Biblioteca di Václav Havel e dall’Associazione degli Amici Americani della Repubblica Ceca il cui presidente, Milton Cerny, ha dichiarato nell'occasione che “Havel rappresentava veramente i principi contenuti nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione di indipendenza. In tutto quello che faceva metteva il suo spirito umano”.

Gli americani hanno sempre subito il fascino di questa straordinaria figura, la cui storia ricorda una leggenda degna di un romanzo di fantapolitica più che la realtà storica. Il colpo di fulmine era scoccato solo tre mesi dopo la sua elezione a presidente, quando Havel, di fronte al Congresso, aveva ricordato il ruolo determinante del presidente Wilson nella creazione dalle ceneri dell'Impero Austro-Ungarico dello stato cecoslovacco, indipendente e democratico, e l'impegno americano nelle due Guerre mondiali prima e nella difesa dei principi di libertà e democrazia in Europa durante la Guerra Fredda poi. Storica la foto che lo immortala mentre mostra sorridente il gesto della vittoria.

Più è abbagliante una luce e più è scura la sua ombra. I cechi, infatti, non hanno solo raccolto lodi e plausi dagli americani per il loro presidente-eroe, ma sono stati anche oggetto di forti critiche e sincere preoccupazioni per le recenti inclinazioni di certa parte dello spettro politico ceco. Solo poche settimane fa, infatti, il ministro degli Esteri Lubomír Zaorálek ha garantito alla Cina che la RC non appoggerà mai le rivendicazioni del Tibet. Un appoggio interpretato da molti come puro servilismo, che va ad un paese che sta molto a cuore ad alcuni politici cechi: durante la sua recente visita in Cina, infatti, il presidente ceco Miloš Zeman ha scioccato tutti con l’infelice frase: "Sono venuto qui ad imparare come si stabilizza una società". Zeman, inoltre, nega da tempo che le forze armate russe siano presenti sul territorio ucraino. Affermazioni e gesti che rientrano in un più ampio e ripetuto appoggio a Vladimir Putin e alla sua politica, sfociato pochi giorni fa nell’estensione a sorpresa dell'invito a Praga al presidente russo per le celebrazioni del 70° anniversario della liberazione di Auschwitz.

Una virata di 180° gradi rispetto alla politica presidenziale di Havel, il cui appoggio aperto al Dalai Lama, al Nobel per la pace Liou Siao-po e alla attivista birmana Aung San Suu Kyi e ad altri celebri dissidenti ha reso celebre e rispettato il suo paese. Il rischio adesso è quello di vanificare la reputazione della Repubblica Ceca come un paese attento e sensibile al rispetto dei diritti umani che, nonostante il suo trascurabile peso geopolitico, non ha paura di condannare apertamente i regimi repressivi e antidemocratici. Se da una parte Havel aveva profeticamente puntato il dito contro il pericolo russo e cinese, oggi il ministero degli Esteri ceco annulla il programma governativo TRANS che supportava i dissidenti cubani, bielorussi e cinesi.

I latini avrebbero chiosato con un tanto laconico quanto esaustivo Nemo propheta in patria.

Andreas Pieralli, giornalista e traduttore

21 novembre 2014

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