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I crimini della Corea del Nord

una prima risposta dalle Nazioni Unite

Nei giorni scorsi il Comitato per i diritti umani dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione storica, che condanna la Corea del Nord per i gravi abusi commessi sulla popolazione e chiede di deferire il Paese alla Corte Penale Internazionale dell’Aja.

La risoluzione, approvata con 111 voti favorevoli, 19 contrari e 55 astensioni, per essere vincolante deve ottenere il via libera dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove si rischia che Russia e Cina, alleati della Corea del Nord, pongano il veto. Solo tale organo, tuttavia, ha il potere di deferire uno Stato alla Corte Penale Internazionale.

La reazione di Pyongyang non si è fatta attendere. Il rappresentante della Corea del Nord alle Nazioni Unite ha infatti fatto sapere che il Paese avvierà un nuovo programma di test nucleari in risposta a una misura che il regime ha considerato illegittima e provocatoria.

Il documento approvato dall’Assemblea è la prima forte risposta internazionale al rapporto di un panel di esperti dell’ONU pubblicato nel febbraio 2014, che aveva denunciato le atrocità commesse dal regime nordcoreano. In un report di oltre 400 pagine, il panel richiedeva l’intervento della comunità internazionale per fermare gli abusi di Pyongyang, “senza confronti nel mondo contemporaneo” e paragonati agli orrori della Germania nazista.

Il testo individua sei gruppi di vittime contro cui la Corea del Nord ha commesso tali abusi.

Detenuti nei campi di prigionia politica
Secondo le stime di diverse associazioni umanitarie, tra le 80mila e le 120mila persone sono oggi
rinchiuse in questi campi - di cui Pyongyang continua a negare l’esistenza. Il sistema è simile a quello dei gulag sovietici e, si legge nel rapporto, prevede il concetto orribile di “colpevole per associazione”, per il quale i familiari - a volte per diverse generazioni - dei detenuti politici vengono trattenuti nei campi a causa solo di tale legame di parentela. Alcuni bambini, come Shin Dong-hyuk - sopravvissuto al lager nordcoreano e autore del libro “In fuga da Camp 14” - nascono nei campi, tra violenze, torture e percosse.

Detenuti del sistema carcerario ordinario
La maggior parte dei prigionieri è detenuta senza neanche un processo, ed è costretta a dividere celle di 40 metri quadri con altre 50 persone. Chi è in carcere subisce violenze e abusi, può lavarsi solo una volta al mese e spesso muore per il freddo.

Persone che professano fedi religiose o che sono accusate di introdurre influenze sovversive
Sono soprattutto i cristiani ad essere perseguitati dallo Stato. Il cristianesimo, così come altre religioni, è infatti trattato come un crimine politico, e può portare a pene detentive di oltre 10 anni.
Il report individua anche indizi che fanno pensare a un “genocidio contro gruppi religiosi, in particolare i cristiani, tra gli anni ’50 e ’60”; tuttavia, poiché non è possibile accedere agli archivi statali, il panel ritiene difficile provare questa possibilità.

Persone che cercano di lasciare il Paese
La maggior parte dei cittadini nordcoreani è soggetta al divieto di movimento. Il panel ha rilevato che la polizia opera con una linea “sparare per uccidere” contro coloro che cercano di attraversare il confine con la Cina.

Popolazione ridotta alla fame
Dagli anni ’90 il regime ha ridotto la distribuzione del cibo, portando a una tremenda carestia e a centinaia di migliaia di morti. Ancora oggi l’inedia è uno dei problemi più gravi del Paese.

Persone di altri Paesi che diventano vittime di rapimenti internazionali
Questa pratica ha avuto origine subito dopo la fine della guerra di Corea e, seppure in proporzioni minori, si è protratta fino agli ultimi anni. Le vittime sono soprattutto cittadini giapponesi che, dopo il rapimento, non fanno mai più ritorno a casa.

Il regime di Kim Jong-un ha commesso - e continua a commettere - terribili abusi contro la popolazione. Di fondamentale importanza per aprire uno spiraglio di verità su questi crimini sono le testimonianze dirette dei sopravvissuti. Una di questi, Park Jihyun, parla oggi dalle pagine del Corriere della Sera per raccontare la sua esperienza. Fuggita dalla Corea del Nord, appena giunta in Cina è stata venduta per l’equivalente di 600 euro a un uomo, che da quel momento divenne suo marito e padrone. Pechino non riconosce i nordcoreani come rifugiati politici, ma come semplici lavoratori immigrati illegali. Una volta scoperta, Park Jihyun è stata condotta in carcere e poi riportata in Corea del Nord, dove è stata detenuta in condizioni estreme in un campo di lavoro del regime.

25 novembre 2014

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