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Diario - 1941-1943

di Etty Hillesum Adelphi, Milano, 1997

L’inizio del diario data nel marzo del 1941, il ventisettesimo anno di vita di Etty Hillesum. Etty vive ad Amsterdam, l’Olanda è già sotto occupazione tedesca.
Nell'agosto del 1942 viene deportata nel campo di Westerbork, dove gli ebrei olandesi venivano concentrati prima di essere spediti nei campi di sterminio della Polonia. Rimane a Westerbork, lavorando all'ospedale e quindi con una certa libertà di movimento, fino al settembre 1943. Poi viene inviata insieme alla famiglia ad Auschwitz, dove muore, secondo i dati della Croce Rossa, il 30 novembre 1943.
Etty, tramite un’amica, aveva affidato il diario allo scrittore ed amico Klaas Smelik che, anche se sembra inverosimile, per 38 anni non era riuscito a trovare un editore. Finalmente, nell'81, la prima edizione olandese, accompagnata da alcune lettere di Etty da Westerbork: subito 150.000 copie e poi le traduzioni in tutto il mondo...
Il suo è uno sguardo poetico che le consente di penetrare oltre l’apparenza delle cose, e la spinge ad afferrare un senso, anzi il senso che alla maggioranza è negato. Da qui, la sua esaltazione della vita in tutte le sue forme, una sorta di laude francescana, ripetuta, insistita anche quando imperversano dolore e miseria. Un abbandono alla gioia e all’ottimismo che, francamente, a tratti spiazza e sconcerta. Non mancano, certo, i momenti di scoraggiamento, ma ci rendiamo conto che sono stati d’animo passeggeri, destinati ad essere superati.
Si capisce, allora, il senso di un pensiero come il seguente: “Se tu vivi interiormente forse non c’è neanche tanta differenza se sei fuori o dentro un campo (di concentramento)” (p.104).
L’esperienza è ricondotta alla sua fonte originaria, l’interiorità. Non si tratta di una fuga dalla realtà. Ne abbiamo la conferma dalla lucidità con cui vengono colti gli aspetti più orrendi del proprio momento. No, si tratta piuttosto di una concezione dell’interiorità come presidio della propria umanità. Ed è grazie al costante richiamo alla propria interiorità, richiamo condensato nella parola “anima”, che Etty riesce a rispondere all’odio con un sentimento che odio non è, e pensa così di poter spezzare la spirale del male.
Già il 15 marzo del ’41 aveva scritto:
“… ed ecco che improvvisamente … è spuntato il pensiero liberatore, simile ad un esitante e giovanissimo stelo in un deserto d’erbacce: se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero.” (p.29)
Più di un anno dopo (18 maggio ’42), la riflessione viene ulteriormente approfondita.
“Cerco di comprendere i delitti più gravi, cerco ogni volta di rintracciare il nudo, piccolo essere che spesso è diventato irriconoscibile. In mezzo alle rovine delle sue azioni insensate” (p.113)...
Si tratta comunque di un approccio tutt’altro che quietistico o ingenuo. Forse non alternativo, ma certamente complementare a quello politico.
“… la mia accettazione non è rassegnazione, o mancanza di volontà: c’è ancora spazio per l’elementare sdegno morale contro un regime che tratta così gli esseri umani. Ma le cose che ci accadono sono troppo grandi, troppo diaboliche perché si possa reagire con un rancore e con un’amarezza personali.” (p.167)
Scagliarsi contro la realtà serve a poco, ma ciò non significa che si debba stare immobili. L’azione più proficua che possiamo compiere è quella di “cominciare da noi stessi”, di resistere innanzitutto alla nostra tendenza a rispondere al male col male, e di promuovere il bene che è pure dentro di noi. Saper resistere all’urgenza degli eventi comporta un atto di vero e proprio eroismo e una lungimiranza che solo chi guarda le cose da un punto di vista universale possiede.
Il motto socratico “è meglio subire il torto che farlo” è, per la Hillesum, il postulato basilare della convivenza umana. Anche quando costa enormemente rispettarlo. In fondo, è questo postulato che guida le azioni dei giusti, di coloro che al fanatismo di un’idea oppongono la difesa del singolo essere umano, dell’essere umano in carne ed ossa. La disseminazione del bene è possibile grazie al rispetto di quel postulato, come bene hanno capito anche molti di coloro che sono miracolosamente scampati allo sterminio.
“(…) ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale.” (p.212)...
Continua a leggere la recensione cliccando sul link "Note sul 'Diario' di  Etty Hillesum" nel box.

Salvatore Pennisi, Commissione educazione Gariwo

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