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L'ultimo gulag. La tragedia di un sopravvissuto all'inferno della Corea del Nord

di Kang Chol-Hwan con Pierre Rigoulot Mondadori, Milano, 2001, pagine 217

Nel 2000 il libro di memorie di Kang Chol-hwan è uscito in Francia col titolo Les acquariums de Pyongyang (tradotto in “L'ultimo gulag” da Mondadori l'anno dopo).
In America è stato pubblicato solo nel 2005, ma ha suscitato subito un vivace interesse grazie all’invito rivolto a Kang dal Presidente Bush per una visita alla Casa Bianca, sollecitato dall'ex segretario di Stato Kissinger.
Il libro, autobiografico, racconta la storia di Kang Chol-hwan e la sua terribile esperienza di reclusione vissuta insieme alla famiglia nel “campo di rieducazione” di Yodok, nella Corea del Nord, sino alla disperata fuga attraverso la Cina nel tentativo di raggiungere la Corea del Sud e conquistare la libertà.

Siamo a Seul, novembre 1999. Pierre Rigoulot, giornalista francese, è in auto con Kang Chol-hwan, anch’egli giornalista presso il Chosun Ilbo, il maggior quotidiano sudcoreano. Devono raggiungere l’hotel Amiga, dove li aspetta Ukyung Song, la loro interprete specializzata in letteratura francese. Si sono dati appuntamento per una ragione molto importante: far sapere al mondo occidentale come si vive sotto il giogo di Kim Jong-il, scrivendo in un libro la drammatica vicenda di Kang Chol-Hwan. Il giornalista coreano infatti non è di Seul, ma della Corea del Nord, dove è sopravvissuto a 10 anni di reclusione in un gulag, da cui è riuscito a fuggire in compagnia dell’amico An-hyuk. 
La storia inizia con il trasferimento dell’agiata famiglia di Kang Chol-Hwan da Kyoto in un quartiere elegante di Pyongyang, capitale della Corea del Nord, in seguito alle pressioni esercitate dal governo di Kim Il-sung per attirare i coreani emigrati in Giappone. Sistemati in una bella casa, al nonno è attribuito un posto da dirigente nell’ufficio di controllo degli affari commerciali e Chol-hwan (che ha solo 9 anni) è inviato in una delle migliori scuole della capitale, dove gli spiegano che il Grande Leader tutela la potenza e l'autonomia del Paese contro le “pretese imperialiste di Seul”. 
All’improvviso, nel luglio del 1977 il nonno sparisce senza alcuna spiegazione. Alle insistenti richieste della nonna le autorità rispondono che è partito per un viaggio d’affari, e che non c’è ragione di preoccuparsi. Poco tempo dopo, tuttavia, l'intera famiglia, a esclusione della madre, viene arrestata e internata nel campo di rieducazione di Yodok. Per Kang Chol-Hawan inizia un lungo calvario. L’accusa è di essere soggetti non criminali contaminati dall’ideologia reazionaria di un soggetto criminale convivente (il nonno), e per questa ragione bisognosi di rieducazione attraverso il lavoro e lo studio.
L'autore descrive uno scenario da inferno organizzato: il lavoro forzato, il programma di rieducazione politica, le umiliazioni sistematiche, la fame e le torture attuate per sanzionare colpe ridicole; tutto si svolge sotto la massima sorveglianza. Chol-Hwan ci restituisce una testimonianza capace di rievocare l’esperienza nel gulag con una lucidità che non ha precedenti nei sopravvissuti all’ultimo regime comunista staliniano del pianeta.
Dal sistema di spie, scelte tra i detenuti per sgretolare ogni forma di solidarietà, alla temutissima cella di rigore da cui si esce irrimediabilmente menomati, sino alla suddivisione in gruppi di lavoro di cinque persone (la cellula base di tutta l’organizzazione del campo) in cui vige il principio della responsabilità collettiva, e agli estenuanti turni di lavoro: la “rieducazione” a Yodok passa attraverso lo sgretolamento dei rapporti familiari e interpersonali, la pratica della delazione, lo sfinimento fisico e il culto incondizionato di Kim Il-sun, con l’obiettivo del totale annientamento dell’individuo. Gli anni scorrono interminabili per Chol-Hwan e la sua famiglia, che impara ben presto tra alterne fortune (anche l’incarico più sciocco all’interno del campo può determinare la morte o la sopravvivenza dell’internato), le regole e i sotterfugi indispensabili per sopravvivere in quell’inferno.
Dieci anni dopo, nel 1987, grazie a un amnistia in onore del compleanno di Kim Jong, la famiglia venne improvvisamente rilasciata e destinata a un regime di semi-libertà. Il giovane Kang si rende conto che il sistema di potere è minato dalla corruzione dilagante e riesce a sfruttarne la debolezza a proprio vantaggio, fino alla fuga attraverso la Cina in compagnia dell’amico An-hyuk. Oggi Kang Chol-Hwan vive a Seul, si è laureato all’università di Hanyang, frequenta regolarmente la Chiesa protestante, scrive per il Chosun Ilbo, e dedica la sua vita a risvegliare nell’opinione pubblica mondiale l’attenzione sulle violazioni dei diritti dell’uomo nella Corea del Nord. L’unica cosa che gli manca e che non può fare è una propria famiglia, perché “in Corea col matrimonio non si celebra l’unione di due persone, bensì si stipula un trattato di alleanza tra due famiglie. Dov’era la mia famiglia?…Niente famiglia, niente matrimonio. E poi come si fa a fidarsi di un coreano del Nord?”.


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