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Cigni selvatici – tre figlie della Cina

di Jung Chang edizioni Tea, Milano, 2007

Il libro presenta la storia della Cina sullo sfondo delle vite di tre donne: la nonna dell’autrice, vissuta in regime feudale; la madre, cui la Rivoluzione comunista ha dato l’indipendenza, ma non la giustizia; e lei, nata nel 1952, emigrata in Gran Bretagna nel 1978 e scrittrice di fama internazionale. Intorno a loro, un pullulare di personaggi i cui caratteri sono definiti magistralmente, risultando a volte malinconici come il padre della scrittrice, altre volte coinvolti nei numerosi rivolgimenti storici che la Cina attraversa, come i suoi fratelli. 
Mia madre aveva ventidue anni - narra Jung Chang -: vent’anni prima, alla sua età, sua madre era vissuta in Manciuria prigioniera in una casa che apparteneva al “marito”, il lontano signore della guerra, sotto gli occhi vigili dei servitori; era stata trastullo e proprietà di uomini. Per lo meno mia madre era un essere umano indipendente; quale che fosse la sua infelicità, era certa che non fosse paragonabile alla condizione di sua madre nella vecchia Cina. Si disse che aveva molte ragioni per essere grata alla rivoluzione comunista e, mentre il treno entrava nella stazione di Chengdu, si sentì piena di determinazione a gettarsi di nuovo anima e corpo nella grande causa”. 
Ai tempi della nonna di Jung Chang, le donne erano inferiori agli uomini; fin dalla più tenera età subivano la tortura dei “gigli dorati”, come venivano chiamati i loro piedi le cui ossa erano fratturate e che venivano costretti in rigide fasce fin dalla culla; potevano essere comprate e vendute. Il loro stato di inferiorità comportava tuttavia alcuni vantaggi , fra i quali rientravano l’esenzione dalle punizioni corporali e l’esecuzione ritardata delle condanne a morte. Con il comunismo, la donna cinese ha conosciuto l’emancipazione dove prima c’era la protezione e i suoi diritti sono stati a poco a poco assimilati, ufficialmente, ai diritti umani fondamentali. La realtà è un po’ diversa: qualora i suoi congiunti cadano in disgrazia presso il Partito comunista, ogni donna perde come minimo la casa, ma può anche perdere l’integrità personale e la vita. 
Particolarmente drammatica è la testimonianza di Jung Chang relativa alla Rivoluzione culturale, la campagna di Mao contro i suoi critici abilmente fatta passare per un movimento giovanile. La scrittrice, figlia di “neri” e di “borghesi” e per questo esposta in prima persona a umiliazioni e afflizioni, denuncia la violenza delle pratiche “rieducative” propugnate dalle Guardie Rosse (in realtà consistenti in pene disumane e degradanti), senza esimersi dal sottolineare la possibilità di comportarsi secondo umanità anche nelle situazioni estreme. Il tutto, con uno stile piano e scorrevole, che non scoraggia il lettore di fronte alla complessità del Paese Cina e che anzi, anche grazie a una sezione fotografica, lo fa appassionare alla sua storia e alle sue vicende sociali.

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