"Le 'bloodlands' sono quella striscia di territorio che va dal Baltico al Mar Nero, dove i regimi più sanguinari d’Europa hanno portato avanti la maggior parte della propria opera omicida. Le terre insanguinate finirono in mezzo a due progetti diabolici: le idee hitleriane di supremazia razziale e di espansione all’est e il desiderio dell’Unione Sovietica di riformare la società secondo il modello comunista. Ciò significava sparare, far morire di fame e gassare chiunque non fosse conforme a tali progetti. Proprio come Stalin incolpava i contadini del fallimento della collettivizzazione, Hitler attribuiva agli ebrei la colpa dei suoi insuccessi militari a oriente. Come argomenta Snyder, 'Hitler e Stalin pertanto hanno condiviso una certa politica tirannica; hanno causato catastrofi, incolpato il nemico da loro designato e quindi utilizzato la morte di milioni di persone per sostenere che le loro politiche erano necessarie o desiderabili. Ciascuno di loro aveva un’utopia di trasformazione, un gruppo da incolpare quando la sua attuazione si dimostrava impossibile e una politica di sterminio da proclamare come una sorta di vittoria surrogata'.
Il libro di Snyder è revisionismo della qualità migliore: con una prosa sobria, argomentazioni stringenti e un uso meticoloso delle statistiche, egli costringe il lettore a ripensare ad alcuni dei più noti episodi della storia contemporanea dell’Europa. Per coloro che sono legati alle semplicistiche nozioni dei libri di testo secondo cui i nazisti erano gli sterminatori e i sovietici i liberatori, o che le uccisioni iniziarono nel 1939 e finirono nel 1945, le tesi di Snyder rappresenteranno uno shock o una provocazione intellettuale. Perfino chi si vanta di conoscere la vera storia si troverà ripetutamente a confronto con i punti di vista, le diversità di interpretazione e i paragoni proposti dall’autore di questo libro. Alcuni episodi orribili, ma già ampiamente noti si ritireranno sullo sfondo, mentre altri emergeranno dall’ombra".