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Cecoslovacchia

In breve

Dopo la Seconda guerra mondiale la Cecoslovacchia finì sotto il controllo di Mosca. Il Partito comunista al potere represse duramente ogni forma di dissenso. La “Primavera di Praga” del 1968 fu rapidamente spezzata dalla reazione violenta dell'Urss, che rispose con l'invasione del Paese e il processo di “normalizzazione”. Solo con la “Rivoluzione di Velluto” del 1989 si arrivò al crollo del regime con l'elezione di Václav Havel a Presidente della Repubblica.

Il dopoguerra

Al termine della Seconda guerra mondiale la Cecoslovacchia aveva buoni rapporti con l’Urss: non c’erano conflitti territoriali né un passato problematico e il presidente in esilio a Londra, Edvard Beneš, aveva già sottoscritto nel 1943 un trattato di amicizia. Con le elezioni del maggio 1946 si formò il governo di Klement Gottwald, in cui, accanto ai comunisti, il partito più importante era il Partito Democratico Slovacco, che Mosca, fin dall’estate del 1947, cercò di eliminare, prendendo a pretesto il cosiddetto “complotto slovacco” - in realtà costruito ad arte dai servizi segreti.
Ne seguirono repressioni di massa e l’esclusione del partito da ogni azione politica. I comunisti presero il controllo su tutte le sfere della vita pubblica e il 25 febbraio 1948 costrinsero il presidente Beneš a nominare un nuovo governo sotto il loro controllo. Dopo le elezioni di maggio Beneš si dimise, sostituito da Gottwald, che firmò la nuova Costituzione. Iniziarono purghe di massa in tutte le strutture statali, le organizzazioni e le scuole superiori. Circa trecentomila persone furono colpite dalla repressione.

Molti attivisti dei vecchi partiti democratici fuggirono all’estero, dove cercarono di organizzare un’opposizione politica; alcuni di loro vennero rapiti in Austria dai servizi segreti cecoslovacchi e riportati in patria, dove subirono condanne molto dure: tra il 1948 e il 1954 le vittime dei processi politici furono almeno centomila, con molte condanne a morte o l’ergastolo. La società reagì con qualche protesta spontanea sporadica. L’11 ottobre 1951 fu dirottato un treno e i 111 passeggeri riuscirono ad attraversare la frontiera tedesca: il “treno della libertà” suscitò grande clamore diventando il simbolo della speranza di sfuggire alla dittatura.

La delegazione cecoslovacca al Festival Studentesco di Budapest porta un ritratto di Gottwald e uno di Stalin, agosto 1949.

La delegazione cecoslovacca al Festival Studentesco di Budapest porta un ritratto di Gottwald e uno di Stalin, agosto 1949.

Il treno 3717 che venne dirottato in Germania Ovest superando la Cortina di Ferro.

Il treno 3717 che venne dirottato in Germania Ovest superando la Cortina di Ferro.

Gli anni delle grandi repressioni e le prime proteste

Accanto agli attivisti dei partiti democratici, nel mirino del regime si trovarono ben presto anche le associazioni confessionali e in particolare la Chiesa cattolica. Nel giugno 1949 l’arcivescovo di Praga Josef Beran venne internato in un campo di concentramento, dove rimase fino al 1963. Poco dopo, la maggior parte dei vescovi cechi e slovacchi seguì la stessa sorte, sostituiti alla guida delle diocesi da vicari obbedienti al regime.
Nel 1949 la collettivizzazione delle terre agricole scatenò le proteste dei contadini, spente brutalmente: fra il 1948 e il 1954 decine di migliaia di “kulaki” vennero condannati ai lavori forzati, 11 alla pena capitale, almeno 1629 famiglie furono scacciate dalle loro case e molti ragazzi allontanati dalle scuole superiori.

Dopo la rottura con il presidente jugoslavo Tito, Stalin temeva il ripetersi di altre insorgenze nazionaliste nei Paesi comunisti e individuò negli ebrei il potenziale nucleo di un’opposizione organizzata al regime. Sin dal 1950 Slánský, di origine ebraica, venne indebolito tramite la rimozione e la messa sotto accusa di due dirigenti a lui vicini, Otto Šling, segretario regionale del Partito in Moravia, e Bedřích Reičin, capo dell'intelligence militare. Nel novembre del 1951 Slánský fu arrestato al termine di una cena a casa del capo del governo cecoslovacco Antonín Zápotocký. Esattamente un anno più tardi, fu uno dei 14 dirigenti che figurarono al processo pubblico di Praga, con l'accusa di alto tradimento. Slánský venne giudicato colpevole e condannato a morte. Fu impiccato cinque giorni più tardi (2 dicembre 1952).

Nel novembre 1951 a Brno ci fu la prima protesta di massa: alcuni operai scesero in piazza contro la decisione di non corrispondere il premio per le festività natalizie e presto lo sciopero si estese a tutta la città. I manifestanti furono dispersi con la forza e i capigruppo condannati a 12 anni di carcere. Nel giugno 1953 l’aumento dei prezzi e la variazione della moneta, che privava i cittadini dei loro risparmi, provocò la prima protesta nazionale: 129 fabbriche scioperarono, a Plzeň migliaia di persone affollarono le strade. Il dissenso venne spento duramente: nella sola Plzeň furono arrestati 231 manifestanti e le sentenze arrivarono a 14 anni di carcere.
Queste manifestazioni furono il primo banco di prova per Antonín Novotný, che nel marzo 1953 aveva sostituito Gottwald alla guida del Partito.

La politica di Novotný

Novotný, archiviati in fretta i contraccolpi della crisi ungherese e del rapporto segreto di Nikita Chruščëv al XX Congresso di Mosca, nel 1957 assunse anche la carica di Presidente della Repubblica e intraprese una politica neostalinista: nel 1960 modificò la denominazione nazionale in “Repubblica Socialista di Cecoslovacchia”, aggiunse un capitolo alla Costituzione sul “ruolo guida” del Partito e sulla “fraterna collaborazione con l’Unione Sovietica”, sviluppò l’industria pesante, concluse la collettivizzazione delle campagne e intensificò l’azione repressiva.
Tra il 1956 e il 1961 i perseguitati passarono da 6.261 a 13.165, mentre tra il 1955 e il 1969 circa 55mila persone furono incarcerate per motivi politici.

Nell’ottobre 1961 il XXII Congresso del partito sovietico, che diede avvio alla seconda fase della destalinizzazione, costrinse ancora una volta Novotný ad adeguarsi: vennero abbattuti i monumenti al dittatore sovietico, concessa un’amnistia e la revisione di alcuni processi degli anni 1948-1954. Durante il plenum del Comitato Centrale Slovacco, Novotný subì dure critiche e rispose accusando di nazionalismo il segretario slovacco Alexander Dubček.

Grandi aspettative nella parata del Primo Maggio 1968 a Praga al Příkop. I cittadini si rivolgono alla tribuna con funzionari statali e di partito, guidati da Dubček.
Majales (festival studentesco di primavera) sulla Piazza della Città Vecchia, 1 maggio 1968.Manifestazione giovanile a sostegno della democratizzazione in Piazza della Città Vecchia: chi voleva poteva parlare, informava la stampa. 18 maggio 1968

La Primavera di Praga

Il 31 ottobre 1967 a Praga venne a mancare la luce in alcune case dello studente e i giovani che erano usciti in strada con le candele in mano gridando “Più luce” furono inaspettatamente e brutalmente attaccati dalle forze dell’ordine. Questo fece esplodere la protesta in tutte le università della capitale. Nel plenum di gennaio fu nominato Primo Segretario del Partito lo slovacco Alexander Dubček, che diede inizio alla cosiddetta “Primavera di Praga”.
Il 23 marzo 1968 Novotny si dimise dalla carica di presidente e il Partito, bocciata la sua politica, definì una strategia di progressiva democratizzazione che comprendeva, tra l’altro, la riforma dell’economia e delle forze di polizia, la limitazione dell’influenza diretta del Partito sugli organismi statali, il diritto alla libera aggregazione dei cittadini e la libertà di parola. La censura fu abolita e rinacquero le organizzazioni religiose, politiche e sociali.

In aprile, lo scrittore Václav Havel pubblicò un articolo in cui invitava a creare un partito di opposizione e il 27 giugno lo scrittore e giornalista Ludvík Vaculík diffuse contemporaneamente su quattro riviste il manifesto, che ebbe una grande eco. Mosca considerò questo documento un’ulteriore prova dell’imminente controrivoluzione e accelerò i preparativi per un intervento militare, intensificando le pressioni sul governo di Praga.
Il 29 luglio si aprirono i negoziati cecoslovacco-sovietici in cui Dubček si impegnò a ripristinare entro il 25 agosto il ruolo guida del Partito e la censura, riprendendo il controllo dei mass media e proibendo l’attività delle organizzazioni antisocialiste. Contemporaneamente, un leader dell’ala conservatrice del Partito, inviò ad arte una lettera alla dirigenza sovietica chiedendo un “aiuto fraterno” per sconfiggere la “controrivoluzione”, fornendo così la motivazione ufficiale dell’intervento armato.

Abitanti di Praga tentano di fermare un carro armato sovietico nel centro di Praga lanciando bottiglie molotov, 21 agosto 1968.Marcia di protesta a Karlovy Vary, lo striscione recita: “Mai più con l'Unione Sovietica!”, 1968.
Carri armati sovietici circondanti davanti all'edificio della Radio Cecoslovacca, nel centro di Praga, durante il primo giorno dell'invasione, 21 agosto 1968.

L’invasione e la “normalizzazione”

Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 700 mila soldati, migliaia di carri armati e centinaia di aerei ed elicotteri del patto di Varsavia attraversarono le frontiere dello Stato. I dirigenti del Partito comunista cecoslovacco furono arrestati e rinchiusi in un campo di internamento ucraino. Gli invasori si scontrarono con la reazione decisa della popolazione: fin dalle prime ore del 21 agosto in quasi tutte le città si svolsero manifestazioni di protesta, che in alcuni casi, soprattutto a Praga, si trasformarono in guerriglia, respinta con le armi.
Il 21 agosto sette tra i principali esponenti della “primavera” vennero arrestati e deportati in aereo a Mosca. Là vennero costretti a firmare (tranne František Kriegel, che si rifiutò) un documento noto come Protocollo di Mosca, che autorizzava l’esercito russo a stabilirsi nel Paese e revocava tutte quelle riforme liberali che erano state emesse durante la Primavera di Praga. Il 27 agosto rientrarono in patria. Dubček, chiese ai cittadini di sospendere ogni forma di resistenza e promettendo che le innovazioni sarebbero state preservate. In realtà eseguì le direttive di Mosca: furono rimossi i membri del partito “non fidati”, fu reintrodotta la censura, rafforzato il controllo sulla vita sociale e furono messe fuori legge le organizzazioni ritenute controrivoluzionarie.

Il 16 gennaio 1969 lo studente universitario Jan Palach si diede fuoco in Piazza Venceslao a Praga; altri 30 seguirono il suo esempio e sette morirono. Il gesto di Palach divenne un simbolo e risvegliò le coscienze: a marzo si svolsero alcune manifestazioni di protesta a cui Mosca rispose pretendendo la destituzione dei dirigenti cecoslovacchi: Dubček fu sostituito alla guida del Partito da Gustáv Husák.
Il processo di “normalizzazione”, cioè di ritorno al tipico modello sovietico, si svolse in tempi molto rapidi: nel 1970 le purghe all’interno del partito portarono all’espulsione di 300 mila membri (fra cui Dubček), mentre altri 100 mila restituirono la tessera, furono chiuse 1000 organizzazioni partitiche e 100 mila persone persero il lavoro.

Time, 30 agosto 1968

Time, 30 agosto 1968

L'Express, 2 settembre 1968

L'Express, 2 settembre 1968

Epoca, 8 settembre 1968

Epoca, 8 settembre 1968

L’esperienza di Charta ’77

Nella primavera del 1976 fu arrestato un gruppo di venti musicisti legati alle band dei Plastic People of the Universe e dei DG307.
La solidarietà con gli artisti in carcere fu l’occasione da cui nacque Charta ’77, una “comunità libera informale ed aperta di uomini di diverse convinzioni, diverse religioni e diverse professioni, legati dalla volontà di operare individualmente e insieme per il rispetto dei diritti civili ed umani” che richiamava la difesa dei diritti dell’Uomo.
La “Dichiarazione Charta ’77”, firmata inizialmente da 242 persone, venne resa pubblica il 1 gennaio 1977 e sottoscritta da 1898 aderenti, tra cui i primi portavoce: Jan Patočka, Václav Havel e Jiří Hájek.

Nel 1978 nacque la rivista “Informazioni su Charta ‘77” e iniziò una collaborazione con il Comitato di Difesa Operaia (KOR) polacco, che portò alla pubblicazione di dichiarazioni congiunte e a incontri all’estero. Nel 1981 venne creata “Solidarność Polacco-Cecoslovacca”, che tuttavia intraprese una reale attività solo a metà degli anni ’80. L’intensificarsi della repressione indusse 17 membri di Charta ’77 a fondare un organismo che documentasse gli interventi illegali della polizia: il 24 ottobre 1978 vide la luce il “Comitato di Difesa dei Perseguitati Ingiustamente” (VONS), che fino al 1989 diffuse 1125 dichiarazioni relative ad altrettanti casi di repressione. Nel 1979 furono arrestati 11 membri del VONS, cinque dei quali condannati a pene dai tre ai cinque anni.

La Slovacchia

In Slovacchia, dove i movimenti di opposizione erano più deboli, dalla metà degli anni ’80 si diffuse il “Movimento di Difesa della Chiesa cattolica e del Diritto di libertà di confessione”. Nel luglio 1985, durante le celebrazioni per il 1100esimo anniversario della morte di San Metodio, 150 mila fedeli riuniti a Velehrad gridarono slogan in difesa della libertà religiosa. Verso la fine del 1987 i rappresentanti più importanti della Chiesa clandestina diffusero una petizione per chiedere che fossero nominati i vescovi delle 8 diocesi vacanti da decenni.
Il documento, appoggiato anche dall’arcivescovo di Praga František Tomášek, raccolse mezzo milione di firme. La manifestazione più significativa si svolse a Bratislava il 25 marzo 1988, quando si raccolsero nel centro della città circa 3000 persone in silenzio con le candele in mano, in segno di protesta contro le limitazioni della vita religiosa. La folla venne dispersa con gli idranti.

Un manifestante viene afferrato da un poliziotto mentre si raduna insieme a duemila persone in Piazza Venceslao a Praga per commemorare il 21° anniversario della “Primavera di Praga”, 21 agosto 1989.

Un manifestante viene afferrato da un poliziotto mentre si raduna insieme a duemila persone in Piazza Venceslao a Praga per commemorare il 21° anniversario della “Primavera di Praga”, 21 agosto 1989.

Vaclav Havel e i manifestanti commemorano la lotta per la libertà e la democrazia al memoriale di Praga durante la “Rivoluzione di velluto”, novembre 1989.

Vaclav Havel e i manifestanti commemorano la lotta per la libertà e la democrazia al memoriale di Praga durante la “Rivoluzione di velluto”, novembre 1989.

1988-1989 e la “Rivoluzione di velluto”

Il 21 agosto 1988, nell’anniversario dell’invasione, a Praga fu organizzata una grande mobilitazione. Furono arrestati 73 manifestanti. Il 28 ottobre, anniversario dell’indipendenza, duemila persone scesero in piazza a Praga al grido “Masarik” e “Libertà”.

Nel gennaio 1989, tutte le organizzazioni di opposizione ricordarono la tragica morte di Jan Palach. In agosto a Praga migliaia di persone protestarono al grido “Palach vive. Elezioni libere. Viva Havel!”. Furono arrestati e imprigionati 851 manifestanti, compreso Václav Havel. Le condanne provocarono molte reazioni, che coinvolsero anche ambienti non legati organicamente all’opposizione.
Il 16 novembre a Bratislava gli studenti scesero in piazza e il giorno dopo a Praga decine di migliaia di persone parteciparono alla manifestazione per il cinquantesimo anniversario della chiusura delle università da parte dei nazisti; qui il corteo si trasformò in una protesta anticomunista. I manifestanti vennero brutalmente attaccati dalla polizia, i feriti furono 568, centinaia gli arresti. Ebbe così inizio la “Rivoluzione di velluto”.

Il 19 novembre fu costituito il “Forum Civico”, che sarà la principale struttura della protesta, con a capo Václav Havel. Al termine dei cortei del 20 novembre a Praga e in altre città, a cui parteciparono oltre duecentomila manifestanti, il Partito si dichiarò disposto alla trattativa. IIl 27 novembre tutto il Paese si fermò per lo sciopero generale: la protesta coinvolse milioni di cittadini. Husak fu costretto alle dimissioni. Il 29 dicembre Václav Havel fu eletto all’unanimità Presidente della Repubblica.
L’8 e il 9 giugno 1990 si svolsero le prime elezioni libere, vinte dal “Forum Civico” in territorio ceco e da “Società contro la Violenza” in territorio slovacco. Il 1 gennaio 1993 la federazione cecoslovacca si divise dando vita alla Repubblica Ceca e alla Repubblica Slovacca.

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