È il simbolo del movimento per i diritti e le pari opportunità delle donne nei Paesi islamici.
È nata nel 1958. Di origine cabila, scrittrice ed ex insegnante di matematica, sceglie di dedicare la sua vita alla lotta per l’affermazione della parità tra i sessi, fondando nel 1985 l’“Associazione per l’uguaglianza tra l’uomo e la donna davanti alla legge”, a seguito dell’approvazione in Algeria del Codice della famiglia che reprime e schiaccia i diritti delle donne.
Nel marzo del 1993 è condannata a morte dal "Fronte Islamico di Salvezza" (F.I.S.), movimento fondamentalista algerino. Di conseguenza vive in clandestinità nel suo paese, rifiutando l’esilio per non abbandonare i suoi compatrioti. Il marzo 1993 è chiamato dagli algerini “Marzo nero” a causa dei numerosi crimini effettuati dai terroristi.
Il 12 giugno 1993 una lettera del "Movimento per lo Stato Islamico" (MEI) firmata da Said Makhloufi ufficializza la sua condanna a morte. L’anno dopo durante una manifestazione pacifista Khalida viene ferita ad una gamba. L’attentato che provoca diversi morti e decine di feriti non ferma i manifestanti che continuano a marciare. Nonostante la condanna a morte continua a guidare numerosi cortei di donne che accusavano i politici di legarsi ai fondamentalisti.
Nel 1997 è eletta in Parlamento e in qualità di ministro partecipa alla commissione nazionale promossa dal Presidente Bouteflika per l’elaborazione di un nuovo Codice di famiglia.