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Vittorio Arrigoni

di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera

Antonio Ferrari riflette sulla morte del volontario italiano in un contributo realizzato per la rubrica Voci dal Vicino Oriente di CorriereTv.

Vittorio Arrigoni

Nutro grande rispetto ma confesso di non avere spiccata simpatia per i volontari che, pur essendo generosamente pronti a rischiare la vita per alleviare le sofferenze dei diseredati, si lasciano talvolta trascinare da brividi rivoluzionari nel vortice dell’ideologia, che in qualche caso rasenta l’odio. Soprattutto in una piccolo mondo abitato da grandi e contagiose passioni come è la Terrasanta, dove vive in attesa di una soluzione che sembra impossibile un perenne conflitto tra due diritti: quello di Israele di vivere in pace entro frontiere sicure, e quello dei palestinesi di avere il loro stato e di convivere con il vicino.
Non ho conosciuto Vittorio Arrigoni, ammazzato barbaramente dai terroristi islamici salafiti nella striscia di Gaza. È stato descritto come un pacifista dal cuore d’oro, dedito completamente alla causa palestinese. Davanti al suo sacrificio e alla sua morte è giusto inchinarsi. Tuttavia il suo blog e le sue idee, espresse e reiterate, sembravano riflettere la radicalizzazione del conflitto, più che spingere chi lo leggeva verso l’idea di un’equa soluzione, cioè il compromesso, l’unica strada praticabile. C’è quindi da sperare, come ha spiegato sul Corriere della Sera il giovane scrittore israeliano Edgar Keret, in una lettera alla madre di Arrigoni, che ha chiesto che il corpo del figlio torni in Italia via Cairo e non via Tel Aviv, che il pacifista ammazzato fosse più propalestinese che antiisraeliano.
Laggiù, in quella che molti chiamano la striscia dei senza terra, e dove le leve del potere sono nelle mani degli integralisti di Hamas, è in corso una tripla guerra: una dichiarata e due assai più ambigue. La prima è contro il nemico di sempre, Israele; la seconda è fra Hamas e il laico Fatah o addirittura tutta l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, accusato dai fondamentalisti d’essere un pupazzo nelle mani dello stato ebraico. La terza, in buona sostanza la più misteriosa, è fra Hamas e le frange ancora più estreme del terrorismo qaedista, appunto quel gruppo salafita che da tempo è presente a Gaza, che è stato protagonista di violenze e scorribande, e che ha sequestrato e ammazzato Arrigoni.
Non occorre essere dietrologi per capire che, teoricamente, Hamas può trarre un vantaggio politico dal sequestro e dall’assassinio del pacifista italiano. Perché il feroce delitto dovrebbe dimostrare che Hamas non è più il peggiore, ma che nella striscia c’è ormai un nemico più estremista, più infido e pericoloso, e che in realtà gli integralisti del premier Ismail Hanije possono essere interlocutori accettabili. Le ultime notizie, con la tempestiva cattura dei responsabili dell’assassinio, fanno proprio sospettare questo intreccio perverso. Povera amata e tribolata Palestina, quanto è difficile immaginare, in questa vigilia di Pasqua, i contorni di una vera pace!

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