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Armin T Wegner, testimone inascoltato

al Giardino dei Giusti di tutto il mondo

Una foto di Wegner

Una foto di Wegner

7 aprile 2011, ore 11.00
Cerimonia al Giardino dei Giusti di tutto il mondo - Milano
piazza Santa Maria Nascente
(MM QT8)

Pietro Kuciukian, console onorario d'Armenia in Italia, presenta Armin Wegner, che ha denunciato il genocidio armeno.

“Queste lettere parlano di morte, alcune sono dirette a persone morte. Quando le scrissi non sapevo che un giorno le avrei raccolte in un libro. Ma davanti allo sterminio, sotto il pallido orizzonte di una steppa bruciata, sorse in me involontariamente il desiderio, di fronte a quelle forse ultime manifestazioni dell’esistenza, di comunicare qualcosa di ciò che mi turbava oltre che agli amici personali, anche a una più vasta invisibile comunità”.

Così scriveva Armin Wegner dal deserto dell’Anatolia tra il 1915 e il 1916. Volontario nel servizio sanitario tedesco fu testimone oculare della deportazione e dello sterminio degli armeni. Un milione e mezzo di donne, vecchi, bambini. Destinazione: il nulla.
Armin Wegner, a rischio personale, ha consegnato al mondo le prove del genocidio. Un testimone, un Giusto, che si è immedesimato a tal punto nel destino delle vittime, da diventare lui stesso una vittima, soffrendo durante tutta la sua vita per ciò a cui aveva assistito.
Dopo aver visto l’orrore, scelse di testimoniare la verità della tragedia del genocidio, non solo con gli scritti, ma anche con una documentazione fotografica di estrema importanza per gli armeni, vittime sino ad oggi del negazionismo della Turchia.

Vent’ anni fa, la signora Gina Serapian mi consegnò delle vecchie fotografie ingiallite. Le aveva ritrovate fra gli oggetti lasciati dal marito Stepan, un sopravvissuto ai massacri di Deir-es-Zor del 1915. Non ne conosceva la provenienza.
Erano gli anni novanta e da tempo pensavo a una mostra fotografica sul genocidio del 1915. Interpellai gli amici armeni per avere un sostegno circa l’autenticità delle foto, convinto che appartenessero ad Armin Wegner.
Mi sentii rispondere che non era dimostrabile che i deportati e i morti fotografati fossero armeni, che erano necessarie altre prove.
Nel 1994 si teneva a Milano una mostra intitolata “Rifugio precario” che riguardava gli intellettuali tedeschi dissidenti e gli ebrei che negli anni trenta si erano rifugiati in Italia, a Positano,sperando nell’incolumità. Fra di essi Armin Wegner e la seconda moglie, Irene Kowaliska, ai quali era stata dedicata una intera sezione della mostra. L’organizzatore era il professor Klaus Voigt di Berlino che mi fornì l’indirizzo del figlio di Armin Wegner, Mischa. Lo interpellai, e dopo qualche titubanza (era stato diffidato dal consegnare alla stampa i documenti del padre Armin), mi diede una copia delle lettere che il padre aveva inviato dalla Mesopotamia alla madre in Germania. Confrontando lettere e fotografie mi resi conto dell’assoluta veridicità delle immagini scattate dall’ufficiale tedesco in Siria, che corrispondevano alle situazioni, ai luoghi e ai personaggi descritti alla madre. A rafforzare le mie convinzioni furono poi i contatti con Marbach, il centro in Germania che custodisce tutta la produzione intellettuale e storica di Armin Wegner.



La mostra fu inaugurata a Milano al Museo Archelogico, nel 1995, ma fu fatta chiudere due giorni dopo dal console turco che aveva approfittato dell’assenza del direttore. Ovviamente fu subito riaperta, anche per l’intervento dei media che in quell’occasione si gettarono sulla notizia suscitando grande interesse nel pubblico italiano. La mostra fu visitata da migliaia di persone in moltissime città italiane e la sua versione in inglese fu portata a Londra, a Salonicco, a Nicosia e infine negli USA. Intorno alla figura di Armin Wegner è nato il nostro impegno di testimonianza con l’obiettivo di far conoscere alle nuove generazioni il primo genocidio del ventesimo secolo, ma soprattutto il valore di una figura esemplare di testimone e giusto, per gli armeni e per gli ebrei.

Armin Wegner infatti, fu l’unico intellettuale tedesco che nel 1933 osò far sentire la sua voce, indirizzando a Hitler una lettera appassionata di protesta contro i comportamenti antiebraici del regime.
Misha Wegner, del quale sono poi diventato amico, aveva gettato parte delle ceneri del padre nella bocca del vulcano Stromboli, ma una parte erano conservate in casa. Nel 1996, assieme ad una troupe televisiva, le trasportammo in Armenia, dove furono tumulate. con una cerimonia ufficiale, nel “Muro della Memoria” del museo del genocidio di Dzidzernagapert,a Yerevan. Nello stesso giorno una nuova lapide venne posta nella via dedicata a Armin Wegner, la 13° strada del distretto Shahumian.
Il figlio di un tedesco, alleato dei turchi, è stato accolto dall’abbraccio riconoscente dei sopravvissuti armeni centenari e di giovani che non hanno dimenticato. Come è accaduto dopo la richiesta di perdono di Willy Brandt nel 1970, al monumento del ghetto di Varsavia, un gesto che ha dissipato molte nubi.
Sopravvissuti e testimoni di verità tengono in vita il ricordo di ciò che è stato, nella speranza di vincere la malattia dell’indifferenza di “una più vasta, invisibile comunità”( Armin Wegner, La via senza ritorno. Un martirio in lettere, Berlino, 1919).

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