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50 anni fa si teneva il processo Eichmann

Alla sbarra la "banalità del male"

L’11 aprile 1961 si apriva uno dei più importanti e clamorosi processi di tutto il Novecento: il processo ad Adolf Eichmann. Per la prima e unica volta, in Israele veniva comminata la pena capitale.

A lui si deve l’organizzazione del campo di concentramento di Terezin, attualmente in Repubblica Ceca. Qui si deportavano vecchi e personalità ebraiche in vista, alle quali veniva fatto credere di vivere al confino. I loro averi erano confiscati col pretesto di pagare l’alloggio in cui vivevano, che sarebbe diventato di loro proprietà.

In realtà, coerentemente con il progetto hitleriano di "soluzione finale" di cui Eichmann era al corrente, la destinazione era la camera a gas. Il gerarca fu anche responsabile del campo di sterminio di Treblinka, nei pressi di Lublino, dove venivano eliminate tremila persone al giorno, per la stragrande maggioranza ebrei.

Nelle intenzioni della classe dirigente israeliana dell’epoca il processo Eichmann doveva essere un processo “esemplare”, che facesse giustizia ai milioni di ebrei morti ad Auschwitz. “Non saremo più pecore al macello”: questo era il messaggio che Israele voleva rivolgere al mondo. Un messaggio che fu trasmesso da tutte le televisioni del mondo.

"L'architetto dell'Olocausto" era stato catturato in Argentina e condotto a Gerusalemme dai servizi segreti israeliani. Era entrato nel territorio del Paese latinoamericano al termine della seconda guerra mondiale con un passaporto rilasciato dalla Croce Rossa Internazionale. Sotto il nome di Ricardo Klement era vissuto in incognito lavorando prima come idrologo, poi come allevatore di conigli, titolare di una lavanderia e operaio.

La filosofa Hannah Arendt scrisse che Eichmann incarnava "la banalità del male". In sostanza il criminale non era stato spinto da un'indole particolarmente cattiva, ma piuttosto da un'incapacità di giudizio circa gli eventi e le proprie azioni. La sua personalità era mediocre, la sua adesione al nazismo fu una delle varie conseguenze della sua mancanza di ogni spirito di iniziativa.

Un nuovo libro della storica Deborah Lipstadt (The Eichmann Trial, Nextbook/Schocken, 2011) rimette in discussione il punto di vista della Arendt imputandole di avere portato, con le sue accuse spesso gratuite e personali al gerarca, a minimizzare se non addirittura assolvere l'antisemitismo. Inoltre nuovi documenti svelerebbero un atteggiamento poco conosciuto finora della filosofa nei confronti del sionismo e dello Stato d'Israele.

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