La copertina del primo libro di memorie della figlia di Stalin
L'unica figlia di Josif Stalin, Svetlana Alliluyeva, è morta di cancro a 85 anni in una casa di riposo nel Wisconsin. Nel 1967 il suo espatrio negli USA fu un colpo a favore di Washington nella guerra fredda con l'Unione Sovietica.
Svetlana Alliluyeva, che si fece chiamare Lana Peters dopo il matrimonio con un architetto americano, ha tentato di opporsi al sistema dei gulag scrivendo anche due libri di memorie di gran successo, ma non è mai riuscita a sottrarsi all'ombra del tirannico padre. Sua madre si era suicidata quando lei era piccola e un fratello era morto per alcoolismo.
Quando arrivò negli Stati Uniti negli anni Sessanta, disse che aveva cambiato Paese "per la libertà d'espressione che finora è negata in Russia". Inoltre dichiarò che la sua defezione era in parte motivata dai maltrattamenti letali inflitti dal regime sovietico al comunista indiano Brajesh Singh, con il quale aveva una relazione.
Si era recata in India nel 1966 per tumulare le ceneri del compagno, ma non aveva poi fatto ritorno in Russia, preferendo rifugiarsi nell'ambasciata americana e chiedere asilo politico. Bruciò il passaporto sovietico e denunciò il padre definendolo "un mostro morale e spirituale".
Il suo primo libro di memorie, Twenty letters to a friend, pubblicato l'anno successivo, ebbe un enorme successo negli USA, ma Lana Peters nel 1980 dichiarò al giornale inglese The Independent di essere nullatenente.
Le spiaceva essere sempre ricordata come "la figlia di Stalin, come se girassi per gli Stati Uniti armata e pronta a sparare agli americani". Il padre, ritenuto responsabile di decine di milioni di morti anche se molti ricordano con gratitudine i sacrifici compiuti dai sovietici per la sconfitta di Hitler, aveva fatto deportare in Siberia anche il suo primo amore, un regista ebreo.