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Compagne di Viaggio. Racconti di donne ai tempi del comunismo

di AA.VV. (a cura di R.P. Gheo e D. Lungu) Sandro Teti Editore, Roma, 2011

Il volume raccoglie, come specificato nel sottotitolo, diciassette racconti autobiografici di altrettante donne rumene, vissute ai tempi del comunismo e della dittatura di Ceaușescu.
Pur essendoci una certa omogeneità nei contenuti (la vita quotidiana in Romania prima del dicembre 1989), nei punti di vista (quello delle donne rumene), nell’estrazione delle autrici (tutte letterate), ciò che rende differenti l’uno dall’altro i racconti e interessante la loro lettura è il diverso modo di affrontare stilisticamente e narrativamente i medesimi temi: quelli tipici dei paesi socialisti, quali le code per cibo e vestiario e gli approvvigionamenti clandestini, le delazioni e i controlli della polizia, la parità uomo/donna; quelli caratteristici della Romania, come il divieto ad abortire e il servizio militare femminile obbligatorio; e temi più generali, comuni anche all’occidente, quali la malasanità, il doppio carico lavoro/casa delle donne, la dequalificazione professionale per sopravvivere.
Tutti questi argomenti, a volte approfonditi, a volte semplicemente tratteggiati o lasciati sullo sfondo, vengono affrontati da ciascuna delle autrici in modo molto personale e peculiare, sicchè ogni racconto ha  stile, ritmo e intonazione propri e dalla lettura globale emergono passaggi e spunti estremamente interessanti.
Adriana Babeti ripercorrendo l’evoluzione delle sporte racconta in realtà le code per gli approvvigionamenti, la ricerca costante della femminilità (il colore della cesta di plastica) e la riluttanza delle vecchie generazioni ad accettare i cambiamenti (il rifiuto della nonna ad utilizzare borse in plastica). 
Con stile ironico e sarcastico Anamaria Beligan  offre uno spaccato della femminilità e della sensualità attraverso la descrizione delle mutande tetra (nomen omen) e di una vestaglia, lasciandoci l’amarezza della constatazione che la sparizione improvvisa di una prostituta lascia tutti indifferenti.
Tra le pagine del diario di Adriana Bittel, che racconta momenti di vita quotidiana, viviamo la gioia semplice della festa di compleanno, al termine della quale si ripiomba nella dura realtà, quando al momento di lavare i piatti manca l’acqua corrente; Alina Radu descrive i preparativi per una festa nel periodo della sua adolescenza: le preoccupazioni tipiche di ogni ragazza (cosa indossare, come coprire il brufolo) e i problemi particolari rumeni (il razionamento dell’acqua per lavarsi, il riscaldamento per la scelta dell’abito, le code per tutto).
Tutti i temi tipici del socialismo e della condizione femminile sono affrontati, come già accennato, secondo lo stile proprio di ogni autrice, ora con sarcasmo, ora con rabbia e rancore, con ironia o aspra critica, a volte perfino con accettazione, offrendo così una visione poliedrica della fatica degli approvvigionamenti, della battaglia quotidiana per la salvaguardia della propria femminilità in un regime che propagandava la parità uomo-donna, del controllo statale a scuola, al lavoro e perfino nella vita privata. Ma c’è un tema che riunisce tutte le autrici in un’unica voce: la politica antiaborista del regime di Ceaușescu, le sue vane argmentazoni e le drammatiche conseguenze, sono da tutte aspramente contrastate e unanimemente affrontate con sdegno e ribellione; e infatti, come scrive Otilia Vieru-Baraboi, “nel comunismo l’aborto clandestino era l’unica forma di dissidenza squisitamente femminile”.

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