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"Dio, cosa farò quando torneranno?"

Yolande Mukagasana e Jacqueline Mukansonera si raccontano agli studenti

Foto di Lorenzo Ciapponi per Gariwo

Foto di Lorenzo Ciapponi per Gariwo

Il teatro San Fedele di Milano ieri era stracolmo: cinquecento ragazzi sono rimasti in ascolto, in attesa. Dopo la toccante reading dal libro di Gabriele Nissim La bontà insensata. Storie di uomini giusti, lo spazio per un dialogo. Davanti a loro la storia straordinaria di due donne, Yolande e Jacqueline, che hanno dovuto scontrarsi con la tragedia del genocidio in Ruanda.

A queste donne ieri il compito di parlare della loro esperienza e di mettersi a confronto con gli studenti. "Per noi non è facile parlare di questo... capiteci - cercano di spiegare, con viva emozione - "ogni volta che raccontiamo queste vicende  ci sembra di riviverle".


Yolande era un'infermiera, molto conosciuta nel villaggio. Appena è iniziata la follia genocidiaria si è nascosta  nella boscaglia accanto alla casa di Jacqueline: "L'ho vista nascondersi, ho sentito i cani che cercavano i tutsi e ho visto che la oltrepassavano" - racconta Jacqueline -. Yolande nella boscaglia lancia un grido disperato: "Dio, cosa farò quando torneranno?". 


Jacqueline spiega agli studenti in ascolto: "Non potevo tenerla a casa mia, sono in affitto. L'ho nascosta in un cortile accanto a casa mia, sotto il lavello. Ho messo davanti al buco del carbone. E da quando ho iniziato a proteggerla ho anche dovuto cominciare a rendermi invisibile".


Di giorno Yolande stava rannicchiata nel buco, appena  scendeva la notte Jacqueline andava a  tirarla fuori dal suo nascondiglio, la conduceva in casa, la faceva sdraiare sul suo letto, e passava il tempo a massaggiarle le gambe e le braccia, che si erano rattrappite nello sforzo di mantenere quella scomoda posizione. "Era tanto sfinita da non riuscire a mangiare - racconta Jacqueline, piangendo - ero costretta a frullare il cibo e a imboccarla perché lei inghiottisse qualcosa".  Le due donne stavano insieme tutta la notte, all'alba Yolande tornava nel nascondiglio.


A volte la casa di Jacqueline veniva raggiunta da altri tutsi in pericolo che non appena scoprivano che stava aiutando Yolande, "il loro dottore", se ne andavano, per non mettere loro due in pericolo. Queste persone sono tutte morte, trucidate dagli hutu.


Di giorno Yolande era costretta al silenzio, qualche volta Jacqueline si avvicinava al lavandino e, fingendo di lavarsi le mani, chiedeva come stava. Jacqueline racconta "Mi domandava notizie dei suoi figli, continuamente, continuamente"... Yolande nel genocidio ha perso i figli, il marito, i genitori e i fratelli e sorelle. 


Dopo questa tragedia Yolande per un certo periodo ha lasciato il Paese: "Non volevo più sentire parlare di hutu e di tutsi"; è emigrata all'estero. "Mi sentivo in colpa per non essere stata in grado, come madre, di proteggere la vita dei miei figli".  Ma poi è stata raggiunta dalla "sete di raccontare" quanto è accaduto, ha scritto dei libri, è diventata una testimone del genocidio in tutto il mondo. 


"Poi ho capito che il Ruanda aveva più bisogno di me di quanto ne avesse l'Europa".  Da poco tempo  Yolande è tornata nel suo Paese, nella casa teatro di quei terribili fatti. Ora lavora per il Governo, si occupa di tutelare i diritti di coloro che sono sopravvissuti al genocidio e di educare i giovani. "Pensavo di poter voler bene soltanto ai miei figli.... invece ora, quando guardo gli occhi dei giovani, nel loro sguardo rivedo lo sguardo dei miei bambini". 


"Durante il genocidio non riuscivamo a piangere: raccontavamo di aver perso i figli, la famiglia, senza poter versare una lacrima - racconta Jacqueline -. Oggi, finalmente, qui con voi possiamo piangere".

27 gennaio 2012

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