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Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani. 1940-1945

di E. Aga Rossi, M.T. Giusti Il Mulino, Bologna, 2012

La copertina del libro

La copertina del libro

"La guerra dell'Italia nei Balcani, ricostruita in questa monografia da Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti, copriva un'area geografica che andava dalle isole dell'Egeo e dell'Adriatico, alla Grecia, all'Albania, alle diverse parti del l'ex Jugoslavia. Un esercito, quello italiano, di ben 600mila soldati, 2 corpi di armata, 37 divisioni, che occupò fino all'8 settembre 1943 buona parte di quelle terre in un difficile condominio con i tedeschi, fronteggiando una "resistenza" che in Jugoslavia e anche in Grecia non ha avuto pari nel resto d'Europa. Una guerra cruenta e spietata da cui quasi tutti i reduci uscirono solo nel 1945, con alterne fortune, i più dai campi di concentramento tedeschi, jugoslavi e greci.
Per quanto la memorialistica sia numerosa e studi su singoli casi e aspetti non manchino, ci vuole metodo e capacità di ricerca per un tale lavoro, consueta nella storiografia di altri paesi, ma non nella nostra. Non valgono qui gli assunti generali, ma la ricostruzione di una miriade di fatti per disegnare una mappa complessiva, con una varietà documentaria, dove il contributo delle fonti archivistiche, non solo italiane, è fondamentale, oltre alle testimonianze private, scritte e orali, che comporta un continuo lavoro di riscontri, per ricostruire una mappa vastissima di eventi e riprodurli nella loro dinamica non lineare lungo tutto il percorso della guerra.
Ma a tenere lontano dal dedicarsi a questa storia c'era un pregiudizio. Il non infrangere quella rimozione che nel dopoguerra si è fatta di molti aspetti della guerra, rischiando così di fondare in parte sulla sabbia le radici della nuova Repubblica. In particolare il pregiudizio verso la "guerra fascista", si certo, ma combattuta da centinaia di migliaia di italiani. Guerra tremenda questa, in cui abbiamo commesso crimini dimenticati e coperti, ma gravissimi, in cui siamo stati vittime di altri crimini, e nessuno ha punito i responsabili. 
Dopo l'8 settembre '43, come Stato e nella memoria come nazione, abbiamo abbandonato, con direttive contraddittorie, questa moltitudine in armi a se stessa, in una trappola senza uscita, presi da due fuochi, quello tedesco e quello delle forze partigiane. Ci sono state pagine di gloria, non solo quella nota di Cefalonia, che il libro esplora anche nei suoi aspetti critici, ma altre isolate. C'è chi ha aderito alla Repubblica sociale, chi ha combattuto con i partigiani, ma il grosso, 450mila uomini, è stato internato dai tedeschi, in condizioni, nella graduatoria a scalare dei nazisti in 13 livelli, al dodicesimo posto, appena prima degli ebrei.
Certo un libro amaro e lacerante nella fredda ricostruzione storica dei fatti, di troppi terribili fatti. Va letto con lo stesso spirito con cui è stato scritto, la ricerca impietosa della verità che sola consente la memoria degli avvenimenti. Mancò allora in chi ci governava, con immane cinismo, il senso elementare di responsabilità. È bene ricordarlo oggi con la profondità di una ricerca storica".

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