40 anni prima che fosse coniato il termine "genocidio", nel 1904, i popoli nama e herero della Namibia furono pressoché annientati dai sudditi dell'Imperatore tedesco Guglielmo I. Morirono 100 mila persone, che non ebbero mai sepoltura.
Lo storico namibiano Casper Erichsen spiega al giornale francese Le Monde: "in Africa per i tedeschi si svolgeva una lotta per l'avvenire delle razze: quella bianca doveva trionfare, quella nera soccombere, eliminata dalla prima". Per la prima volta nella sua storia, la Germania imperiale creò dei campi di concentramento e organizzò un sistema concentrazionario, fino a mettere in piedi un traffico di cadaveri "a scopo scientifico".
Carta bianca ai militari
Spesso i nama e gli herero internati nei campi erano costretti a cuocere i crani delle persone uccise dai tedeschi, anche quando si trattava di loro congiunti o amici. Veniva quindi loro ordinato di pulire queste teste con dei cocci di bottiglia, per poi inviarli in Europa per esperimenti e confronti con i crani di individui di altre "razze".
Il genocidio era stato pianificato a partire dal 1884, quando il Cancelliere Bismarck aveva deciso di concedersi una parte dei territori sudafricani, quella abitata proprio dagli herero e dai nama. Vent'anni più tardi questi popoli si ribellarono. L'ordine del Generale Lothar von Trotha inviato per sterminarli era chiaro: "Io, il gran generale, invio questo messaggio al popolo herero: all'interno dei confini tedeschi, ciascun uomo herero con o senz'armi, con o senza bestiame, sarà abbattuto; io non accetto donne, né bambini; che se ne vadano tutti o ordinerò ai miei uomini di sparargli addosso". Nel 1905 l'ordine di sterminio fu esteso ai nama.
Ora la Germania ha riconosciuto questo massacro come genocidio con legge dello Stato.
Il documentario Namibie: le génocide du II Reich di Anne Poiret andrà in onda domenica 27 maggio alle ore 22.00 su France 5