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Profughi o fondatori dello Stato ebraico?

gli ebrei dei Paesi arabi in uno spot israeliano

Il Ministero degli Esteri israeliano, in collaborazione con il Ministero delle Questioni relative ai Pensionati e il Congresso Mondiale Ebraico, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione sul tema delle "migliaia di rifugiati ebrei che furono espulsi dai Paesi arabi dopo l'istituzione dello Stato di Israele". Il governo israeliano avrebbe discusso il tema anche in una conferenza delle Nazioni Unite dello scorso settembre. In questa sede ha comunicato che avrebbe posto la questione al tavolo dei negoziati con i palestinesi. In questo modo i due problemi "dei rifugiati ebrei" e "dei rifugiati arabi" sembrano elidersi a vicenda, annullando le già esigue prospettive di pace. 

Questi ebrei sarebbero circa 856.000 secondo l'ideatore della campagna "I am a refugee" Danny Ayalon, Viceministro degli Esteri di Israele e figlio di un profugo dall'Algeria. 
Nel maggio 1948 agli ebrei dei Paesi arabi fu revocata la cittadinanza, con la confisca dei beni e l'intimazione di lasciare il Paese. Tutto questo mentre 500.000 palestinesi emigravano negli stessi Paesi arabi.  A differenza di questi rifugiati, colpiti da misure discriminatorie e lasciati a languire nei campi profughi, i "profughi ebrei" avrebbero invece trovato in Israele accoglienza e integrazione, secondo quanto afferma Ayalon in un video su YouTube.


Chi sono i rifugiati ebrei?


I regimi arabi avrebbero rifiutato di prendersi cura allo stesso modo del problema dei profughi palestinesi, per poter lasciare "una ferita aperta" e contare quindi su "un'arma contro Israele". Del caso si sono occupati media israeliani e stranieri, come la BBC. Dai loro articoli abbiamo cercato di capire chi siano i "rifugiati ebrei" e se sia plausibile che, come vorrebbe Israele, debbano essere tenuti in conto al pari di quelli "arabi" nei negoziati di pace tra Netanyahu e Abbas.


L'emittente inglese ha intervistato alcuni rifugiati ebrei che si considerano effettivamente dei "profughi". Sono stati cacciati tra il 1948 e il 1963 da Iraq, Siria e altri Paesi arabi con la violenza e ricordano la fuga come "un esodo biblico". La giornalista della BBC Yolande Knell, li descrive intenti a giocare a backgammon - o shesh besh come lo chiamano a Gerusalemme - nella piazza del mercato, come si usa nei Paesi arabi. Ciò indicherebbe che avevano assimilato usi e costumi dei luoghi da cui sono stati cacciati. 


La stampa israeliana è più critica. Haaretz osserva che molti di questi ebrei non sono affatto "rifugiati" o "profughi". Prima di tutto perché hanno uno Stato, Israele, in cui riconoscersi. Inoltre alcuni ebrei provenienti dallo Yemen o dall'Iraq "insistono per affermare che non sono profughi". Secondo la giornalista che ha firmato l'articolo, Rachel Shabi, si tratterebbe di persone partite volontariamente per fondare uno Stato che accogliesse gli ebrei senza le violenze e le discriminazioni presenti altrove. Sarebbero insomma pionieri o attivisti sionisti. Il ragionamento di Haaretz suona così: se "l'esodo" era un obiettivo del Movimento Sionista, che senso ha incolparne di questo gli Stati arabi come fa il governo? Questi ebrei hanno certamente dei diritti, continua Shabi, ma potrebbero ottenere ragione mediante trattative con i singoli Stati di provenienza per l'indennizzo di proprietà e altri beni senza ostacolare i negoziati di pace per il Medio Oriente.  


Affrontare le complessità per trovare soluzioni


Poiché l'autorità palestinese ha dichiarato che la posizione del governo israeliano "fa leva sulle complessità per evitare di discutere veramente la pace", vale la pena notare che Haaretz invece dando rilievo alle diverse problematicità mira proprio a criticare gli aspetti "nocivi" della diplomazia di Netanyahu, quelli che ostacolano il raggiungimento della pace perché riducono a concetti propagandistici delle realtà umane che richiedono ben altra attenzione. 


"Ciò che sorprende veramente di questa campagna di Ayalon", conclude la giornalista, è "il fatto che per il governo esiste un conflitto tra 'gli ebrei' e una massa di 'arabi intercambiabili'". Ma gli arabi non sono per niente intercambiabili. Israele dovrebbe superare certe semplificazioni ideologiche che non fanno altro che "causare terribili problemi": si tratta di stabilire chi ha diritto al ritorno tra i palestinesi e chiedere contemporaneamente pari dignità per il passato di "profughi" di quegli ebrei. 
Certamente l'intento strumentale nell'utilizzo della "questione dei profughi" accomuna una volta tanto israeliani e palestinesi.

3 ottobre 2012

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