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Una stele che inganna la Storia

la menzogna sul salvataggio degli ebrei in Bulgaria

Stele a ricordo del ruolo di re Boris III nel salvataggio degli ebrei bulgari

Stele a ricordo del ruolo di re Boris III nel salvataggio degli ebrei bulgari

Nella piazza centrale di Sofia, dietro al Santo Sinodo, ci sono tre stele di granito. Una ricorda il salvataggio degli ebrei bulgari, la seconda onora Dimiter Peshev e i capi della chiesa ortodossa Stefan, Kiril e Sofroni che furono i grandi artefici di questa operazione, una terza invece enfatizza il contributo fondamentale di re Boris III al salvataggio degli ebrei bulgari. 


Un cambiamento radicale si imporrebbe per ripristinare la verità. Rimuovere la stele dedicata alla corona bulgara, che con il governo Filov fu responsabile delle leggi razziali e dello sterminio di 11 mila ebrei di Tracia e di Macedonia ed erigerne, invece, una nuova che ricordi le vittime bulgare dell'Olocausto. Per la Bulgaria sarebbe l'occasione di fare le sue pubbliche scuse, come è accaduto recentemente in Francia, quando il Presidente Hollande ha ricordato le responsabilità francesi nel rastrellamento degli ebrei.


Di questa falsificazione storica si è parlato nel coraggioso convegno organizzato da Yuliana Metodieva e dal Bulgarian Helsinki Committee che, per la prima volta a Sofia, ha invitato studiosi bulgari, americani, francesi e italiani e riunito attorno a un tavolo i rappresentanti greci e macedoni delle comunità ebraiche che, scortate dai soldati bulgari, furono deportate a Treblinka. 


Per tre giorni si sono posti interrogativi che ancora dividono gli storici e che hanno provocato momenti di grande dibattito. Mai in Bulgaria c’era stato un confronto così acceso: finalmente sono infranti i tabù delle interpretazioni ideologiche di stampo comunista e di apologia monarchica.


Ci si è chiesto se il governo bulgaro fosse a conoscenza dei campi di sterminio quando le truppe consegnarono ai tedeschi gli ebrei di Tracia e Macedonia. Se fosse così, Boris e il Primo Ministro Filov dovrebbero essere accusati di collaborazione al genocidio. Come risulta da un colloquio tra il Primo Ministro e l’ambasciatore svizzero, Filov sapeva che gli ebrei andavano verso la morte. 


E quale definizione dare dell’antisemitismo bulgaro? Era un fascismo ideologico, oppure il governo agiva per opportunismo politico con l’obbiettivo di rimanere fuori dalla guerra e riconquistare la Tracia e la Macedonia sacrificando gli ebrei? E quando si parla di salvatori è meglio indicare il ruolo degli individui oppure enfatizzare il ruolo della società civile, come se potesse esistere una società “buona” contrapposta ad un potere “cattivo”?


È una discussione che continuerà a lungo, ma il problema più complesso e scarsamente compreso dai partecipanti riguarda il modo attraverso cui una società può elaborare una riflessione autocritica sul passato.


La prima questione a porsi è quella di non trasmettere al governo e al Paese un messaggio punitivo. Ricordare i crimini del passato non significa cospargersi il capo di cenere recitando il mea culpa, ma affermare che avere memoria e assumersi la responsabilità del male compiuto fa onore al Paese e accresce la sua reputazione nel mondo. 


Ecco perché ho proposto che il 9 marzo del 2013, in occasione del 70esimo anniversario dell’iniziativa di Dimiter Peshev, venga inaugurato un giardino dei Giusti che ricordi i salvatori degli ebrei, con una lapide in memoria dei deportati di Macedonia e Tracia. L’orgoglio per il salvataggio degli ebrei dell’interno deve andare di pari passo a una assunzione di responsabilità per quelli scomparsi nei campi. La memoria del bene accanto alla memoria della verità è la via della speranza.


La seconda questione più complessa è quella di non dimenticare che il mito di Boris in Bulgaria è radicato proprio a causa del passato comunista. Di fronte al gulag bulgaro e alle migliaia di vittime degli anni cinquanta, sono molti coloro che nella società preferiscono rivalutare la monarchia, dimenticando le sue responsabilità per le leggi razziali.


Tutto ciò spiega la reazione in sala quando è stato proiettato il documentario di Edward Gafney, Empty Boxcars, persecution, murder, and rescue.
Alcuni spettatori si sono chiesti perché si parla solo di ebrei e non delle vittime del comunismo. Gafney ha risposto che in un film non si può dire tutto. In realtà in Bulgaria bisogna dire tutto. Dopo la Shoah, un’altra persecuzione avallata dallo Stato ha dimostrato che la lezione della persecuzione antiebraica degli anni 40 non era stata 'elaborata' in Bulgaria dopo la guerra. Infatti durante il periodo comunista, seppur con metodi diversi, nuovi campi di concentramento sono stati costruiti, nonostante Auschwitz. E tra le vittime del terrore ci sono stati alcuni deputati che seguirono l’appello di Peshev per gli ebrei.


Se non si chiede alla Bulgaria di ricordare anche questo passato rimosso si rischia di creare una pericolosa concorrenza tra le memorie delle vittime ebraiche e delle vittime del totalitarismo e alla fine sono gli ebrei a subirne le conseguenze con l’accusa di guardare soltanto alle loro sofferenze e non a quelle degli altri. La stele a re Boris va tolta il più presto possibile, ma accanto a quella che ricorda gli ebrei di Tracia e Macedonia, ci sia anche una per le vittime bulgare del comunismo. È questo il migliore modo per non dimenticare Auschwitz in Bulgaria.

Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

8 ottobre 2012

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