Era il 1996 e Hada, che come molti dei mongoli che vivono in Cina usa solo il suo
nome, fu arrestato e condannato a quindici anni di prigione per
avere condotto attività di separatismo e spionaggio e per avere
supportato la Coalizione Democratica della Mongolia, che si batte per i
diritti delle minoranze mongole in Cina.
Oggi la moglie Xinna denuncia le cattive condizioni di salute del marito, in carcere ormai da 17 anni. Dal 2010 infatti, scaduta la sua pena detentiva, Hada è stato trattenuto dalle autorità cinesi, e ora versa in uno stato di depressione.
La moglie si appella alla comunità internazionale per ottenere la scarcerazione dell'uomo, che secondo i medici dovrebbe essere trasferito in una struttura per la salute mentale. Le autorità cinesi si rifiutano di rilasciarlo, e anzi controllano costantemente la sua famiglia.
Xinna è stata arrestata nel 2010 insieme al figlio Weilesi, per motivazioni fittizie. I due, ora scarcerati, vivono in una condizione molto simile agli arresti domiciliari. La loro casa è circondata da telecamere. "Se voglio uscire di casa - racconta Xinna - ho bisogno dell'approvazione delle autorità e vengo seguita dalla polizia".
In Cina la "questione mongola" è molto sentita. L'etnia mongola è solo il 20%
della popolazione, ma negli ultimi anni nella Mongolia Interna è
cresciuto lo sfruttamento di miniere di carbone, con un conseguente arrivo di manodopera cinese. I mongoli, dediti soprattutto alla pastorizia, si sentono
ormai una minoranza minacciata
La preoccupazione del governo cinese è dovuta alla somiglianza delle proteste della Mongolia Interna a
quelle che avvengono in Tibet e nello Xinjiang, Le famiglie dei dissidenti sono costantemente oggetto di monitoraggio, arresti domiciliari e detenzioni.