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"In Siria ritorneremo ad amare"

di Shady Hamadi

Qualche giorno fa il Governo siriano si è concesso il lusso di interrompere per quarantotto ore internet e le telecomunicazioni nel paese, facendo ripiombare la Siria nel Medioevo e nell’oscurità, così da perpetrare i suoi crimini indisturbatamente, consapevole che il mondo, gli amici dei liberi siriani, non avrebbero fatto nulla. 


Dopo quarantamila morti, il bombardamento a tappeto dell’aviazione siriana sulle città del paese, lo stupro di massa delle donne di diverse confessioni ad opera dei lealisti per provocare lo scontro interreligioso, il massacro dei bambini, privati per sempre della loro spensieratezza, che cosa devono fare i Siriani per meritare la vostra solidarietà?


È facile, oggi, parlare di guerra civile, della presenza di fondamentalisti nel paese, di settarismo; è superficiale domandarsi ‘che fine faranno i cristiani alla caduta del regime’, presupponendo che la rivoluzione in Siria sia di matrice religiosa islamica. 
Bisogna conoscere quello che è successo nell’arco di questi quasi due anni per comprendere come siamo arrivati fino a questo punto; bisogna ricordarsi di tutti quei giovani pacifisti siriani scesi nelle piazze a chiedere libertà e dignità e per questo massacrati brutalmente dal regime. 


Se non avete capito quale libertà e dignità essi reclamavano e continuano a reclamare tuttora, ve lo dico io. Libertà è il diritto a non accettare le scelte del proprio governo e avere la possibilità di far sentire la propria voce. Libertà vuol dire camminare per strada e poter parlare di qualsiasi argomento, criticare qualsiasi scelta politica, senza rischiare di essere portati via e rinchiusi a vita in una cella trovando in un muro il proprio amico migliore. Libertà per me significa avere la possibilità, almeno una volta nella vita, di tornare nel villaggio di origine di mio padre e andare a visitare insieme a lui la tomba di mio nonno. Dignità è rispetto all’integrità del nostro corpo: più generazioni sono state torturate nelle segrete delle carceri e i loro corpi sono stati profanati, su di essi è stato glorificato il male e umiliato l’uomo. Dignità significa che nessun uomo, dello stato e non, si permetta di sottometterci. Questo è quello che noi abbiamo chiesto dal 15 marzo del 2011, quando dei bambini nella città di Dara’a scrissero su un muro ‘Il popolo vuole la caduta del regime’. L’unica risposta resaci è stata la morte. 


I bambini, come coloro che scrissero quella frase, sono i protagonisti inconsapevoli di questa tragedia umana, sono loro che vengono uccisi senza sapere il perché, sono loro a cui la spensieratezza e l’innocenza vengono rubate. Hamza Ali Khateeb aveva solo 13 anni, lo ripeto, 13 anni quando venne sequestrato nel maggio del 2011 dai servizi segreti siriani, mentre si recava con la famiglia a una pacifica manifestazione per la libertà. Fu riconsegnato pochi giorni dopo, cadavere, con cruenti segni di tortura sul corpo: bruciature di sigarette, ecchimosi e, non ultimo, l’evirazione. Cos’aveva fatto? 


Il dolore, quello che io e tantissimi altri siriani all’estero proviamo quotidianamente, ci trasforma in corpi vuoti e privi di qualsiasi emozione. Ci resta un profondo senso di sofferenza e solitudine, proprio quello che provano i nostri fratelli in patria. Anche noi moriamo ogni giorno con loro per poi risvegliarci il giorno seguente e ripetere questo calvario, inermi. Non vi scrivo una lettera politica, vi scrivo umanamente per spiegarvi che cos’è per noi il dolore.


La nostra tragedia un giorno finirà, senza l’aiuto di nessuno, se non il nostro, e da questa sofferenza troveremo il coraggio di tornare ad amare, ne sono certo. Mi auguro che i nostri morti, i martiri siriani, possano unirci per consentirci di costruire quella memoria che manca in Medioriente. Mi auguro che dal nostro sacrificio altri trovino l’ispirazione per amare guardando al macello siriano come ad uno oscuro esempio da non ripetere. Certo che la Siria rifiorirà dalle sue ceneri, come i gelsomini per le vie di Damasco. 

3 dicembre 2012

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