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Il filo dimenticato

1943-1945 Gli anni bui di San Vittore

Un dettaglio della mostra "Il filo dimenticato", Casa Circondariale San Vittore, Milano

Un dettaglio della mostra "Il filo dimenticato", Casa Circondariale San Vittore, Milano

Dal 24 al 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria 2013, la Casa Circondariale San Vittore a Milano ospita un'originale mostra di lavori ispirati ai tragici episodi avvenuti nel biennio '43-'45, quando le SS trasformarono l'istituto di pena in un vero e proprio campo di internamento per ebrei e detenuti politici. 
Nel IV raggio della Casa Circondariale - proprio quello in cui venivano rinchiusi gli ebrei prima di essere mandati nei campi di sterminio - saranno esposte venti opere cucite a mano dalle detenute su disegni della curatrice del progetto, Alice Werblowsky, che di seguito racconta come è nata l'idea della mostra. 

Questo progetto è frutto di una serie di coincidenze. La prima risale a sei mesi fa, mentre passeggiavo a Parigi in rue Lepic a Montmartre e mi sono fermata ad ascoltare una guida che parlava a un gruppo di turisti davanti a una scuola elementare, indicando una targa affissa su un muro. La guida raccontava che proprio da quell’edificio, durante la seconda guerra mondiale, molti bambini erano stati prelevati e deportati nei campi di sterminio. 

Qualche giorno dopo, in un bric à brac, ho visto una bella scatola da cucito e ho chiesto da dove venisse; mi è stato risposto che, da quanto si poteva sapere, era appartenuta ad una famiglia di ebrei deportati durante la Guerra. Non ho comprato la scatola - patrimonio troppo pesante per me - ma solo qualche filo. 
Alla fine dell’estate mi sono stati regalati i fili da ricamo di una persona con cui sono cresciuta e che non c’è più. 

"Ridare vita" a quei fili, riallacciarli e seguirli simbolicamente a ritroso per ridare memoria a quelle storie dimenticate è diventato piano piano un bisogno. Ho cominciato così a disegnare e ricamare delle tele.

In una circostanza altrettanto casuale ho mostrato i primi dieci lavori al gallerista Jean Blanchaert, non sapendo che il suo bisnonno era stato il deportato più anziano che, partito da San Vittore, era morto di stenti sul vagone merci diretto ad Auschwitz.

Forte del suo prezioso incoraggiamento sono andata a trovare Gloria Manzelli, direttrice della casa circondariale di San Vittore di Milano, proponendole una mostra per la “Giornata della Memoria”, che raccontasse attraverso opere di disegno e cucito alcuni episodi che legavano il penitenziario alla persecuzione razziale. 
Insieme abbiamo deciso di coinvolgere nel laboratorio di cucito 23 detenute, tra le quali anche quattro donne Rom, “voci” di un altro atroce sterminio. Per riaccendere la memoria è stato organizzato un incontro con Dijana Pavlovic, attrice di teatro e attivista Rom, che ha raccontato la storia dello sterminio di “Porrajmos” , del quale solo poche detenute erano a conoscenza, mentre io ho parlato della Shoah. Per le altre detenute si è tenuto un secondo incontro, durante il quale Antonio Quatela ha raccontato la storia dell’Italia negli anni 1943-1945 ed episodi - alcuni tragici, altri eroici - accaduti a San Vittore in quel periodo.

Dopo questi due incontri, che hanno suscitato molto interesse tra le ospiti del carcere, ho iniziato un lavoro di cucito con loro. All’inizio mi avevano messo a disposizione due stanze troppo piccole ma, quando la Direttrice l’ha saputo, ha dato la sua autorizzazione ad utilizzare la biblioteca del carcere, per permettere alle 22 detenute di lavorare tutte insieme, una decisione importante che ha creato un clima sereno, ha amalgamato un gruppo eterogeneo di donne e ha permesso uno scambio vivace di opinioni e la nascita di nuove amicizie. C’è stato un impegno collettivo incredibile, una solidarietà totale tra le detenute, qualunque fosse la loro provenienza o nazionalità. Quando non era disponibile la piccola radio di una detenuta, molte volte si è sopperito cantando. Diverse ragazze non sapevano cucire e oggi sono diventate bravissime; ogni punto è stato fatto con grande cura e alla fine di ogni giorno si potevano vedere i risultati del grande lavoro collettivo, che partiva dai miei disegni e man mano si trasformava in qualcosa di particolare creato grazie al lavoro di tante donne. Per esempio, Nadia ha voluto rappresentare i carri e i cavalli dei suoi antenati; Sabina si è presa l’impegno di cucire l’enorme muro che rinchiudeva i prigionieri del campo d’internamento.
Il gruppo delle tre donne napoletane (Loredana, Rosa, Cristina) ha ricamato con pazienza infinita un albero dove compaiono al posto delle foglie le lettere E (per Ebreo) e R (per Rom) e la prima lettera del nome di tutte le detenute, della direttrice del carcere e degli educatori che hanno permesso la realizzazione di questo progetto.

Ogni visitatore potrà aggiungere la propria lettera, che sarà cucita dalle detenute come simbolo di un lavoro unitario che mira a realizzare il sogno di un mondo in cui l’essere umano non sia mai più umiliato ed annientato da altri esseri umani. La scelta delle lettere non è casuale, perché vale la pena ricordare che le lettere E1, E2 ed E3 servivano a contrassegnare - distruggendo così ogni forma d’identità - i civili ebrei che entravano in carcere per poi essere indirizzati ai campi di sterminio.


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9 gennaio 2013

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