"Carissima Lilian,
(…) quanto ci deve temere Hitler, se ci perseguita
così! Fino a oggi ho creduto in Dio, ma se non darà in breve tempo la
dimostrazione della sua esistenza, non potrò più crederci.
Questa
persecuzione degli ebrei è disumana. Che cosa dobbiamo fare, dove
dobbiamo andare? Amo la mia patria con un fervore quasi doloroso, sono
cecoslovacca fino al midollo, non sono peggiore di quelli che dipingono
noi ebrei come inferiori, cattivi e degenerati, no, al contrario, io
sono migliore, lo dico senza falsa modestia, so chi e cosa sono!"
Così scriveva Ilse Weber all'amica Lilian il 28 marzo 1938, in una drammatica lettera in cui le affida il figlio Hanus per sottrarlo ai nazisti.
Ilse era un'ebrea ceca, scrittrice di poesie e favole per bambini. Dopo l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia riuscì a salvare il suo primogenito mandandolo in Inghilterra, ma non riuscì a evitare il lager per il resto della sua famiglia. Nel 1942 Ilse, suo marito Willi e il figlio Tomas furono deportati a Theresienstadt, il ghetto da cui partivano i trasporti per Auschwitz.
Ilse non perse la sua passione per la scrittura, e creò poesie e canzoni per i compagni prigionieri. Nel 1944 la famglia Weber fu condotta ad Auschwitz, e solo Willi si salvò dalle camere a gas.
Tornato a Praga alla fine delle guerra, Willi riprese con sè il figlio Hanus. Oggi Lindau pubblica il libro Quando finirà la sofferenza? Lettere e poesie da Theresienstadt, che contiene le poesie composte nel ghetto e ritrovate da Willi nel punto dove Ilse le aveva sepolte, e le lettere scritte all'amica Lilian.
Di seguito vi proponiamo la poesia Le pecore di Lidice, segnalata da Avvenire:
Le pecore lanute bianche e gialle trottano lungo la strada.
Due pastorelle seguono il gregge, nel crepuscolo suona il loro canto.
È un’immagine colma di pace, ma tu che vai di fretta,
ti fermi come sentissi passare vicino un orrendo soffio di morte.
Le pecore lanute bianche e gialle, tanto lontane da casa,
bruciate le stalle, assassinati i padroni.
Oh, tutti gli uomini del villaggio, tutti sono morti
della stessa morte.
Un piccolo villaggio boemo, tanta sventura e sofferenza.
Deportate le donne laboriose che curavano il gregge,
scomparsi i bambini gioiosi che si rallegravano degli agnelli,
distrutte le piccole case dove albergava la pace,
un villaggio intero annientato, soltanto gli animali graziati.
Queste sono le pecore di Lidice, adatte proprio qui,
nella città dei senza patria, animali senza casa.
Chiusi da un muro, accomunati dal crudele destino,
il popolo più tormentato della terra
e il gregge più triste del mondo.
Il sole è tramontato, scomparso l’ultimo raggio,
da qualche parte delle caserme si alza un canto ebraico.