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Ondata di arresti in Iran

ai danni di giornalisti di opposizione

Le elezioni si avvicinano, e scatta la censura. A cinque mesi dal voto che sceglierà il successore di Mahmud Ahmadinejad, Teheran inizia l'ondata repressiva per prevenire proteste simili a quelle che hanno infiammato le strade della città nel 2009.

Diversi giornalisti sono stati arrestati durante un'inaspettata irruzione nelle sedi di cinque giornali di opposizione con l'accusa di "collaborazione con media affiliati a organi sediziosi e anti-rivoluzionari" esteri, ovvero la BBC, Voice of America e Radio Free Europe, accusati di essere agenzie di intelligence inglesi e americane.


Non stupisce la tempistica di tali misure: la scorsa settimana il Procuratore di Stato Gholam Hossein Mohseni Ejehei aveva dichiarato che tutti i giornalisti in contatto con media esteri ostili al regime sarebbero stati puniti in quanto "servi del nemico".


L'ondata di arresti potrebbe quindi essere solo il primo passo di una nuova serie di repressioni e violenze nel Paese. Il regime deve infatti guardarsi non solo dalla tradizionale opposizione, ma anche da alcune personalità della destra integralista. Uno dei leader dei fondamentalisti, Habibollah Askaroladi, ha infatti definito "senza fondamento l'accusa di sedizione e di complotto" nei confronti dei due componenti dell'opposizione Verde, ancora in carcere, provocando una dura reazione della fazione di Khamenei. Ahmadinejad teme anche il ritorno del vecchio leader Hashemi Rafsanjani, pronto a ricandidarsi alle prossime elezioni.


In questi giorni l'Iran è sotto la lente di ingrandimento delle agenzie per i diritti umani anche per il caso di Nasrin Sotoudeh, vincitrice del Premio Sacharov 2012 del Parlamento europeo e detenuta nel carcere di Evin per la sua attività in difesa dei diritti considerata "attentato alla sicurezza nazionale e propaganda contro il regime". La donna ha ricevuto un permesso di pochi giorni per poter tornare a casa e rivedere la famiglia, strumento utilizzato spesso dalle autorità per creare maggiore pressione sui prigionieri politici e destabilizzarne l'equilibrio emotivo.


Il permesso era stato concesso per soli tre giorni, ma poiché in altri casi era stato prolungato fino a diventare definitivo - come per Reza Shababi, leader di uno dei sindacati iraniani, in pessime condizioni di salute dopo lo sciopero della fame - Nasrin sperava che le fosse concesso altro tempo per effettuare esami medici e iniziare una terapia per riprendersi dallo sciopero della fame di quasi 50 giorni appena interrotto.

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