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Dalla fecondità dei Giusti alla fecondità della memoria

Francesca Nodari e il Giardino dei Giusti di Brescia

L'associazione Filosofi lungo l'Oglio, presieduta da Francesca Nodari, celebra il 6 marzo con l'inaugurazione del Giardino dei Giusti di Brescia.

I primi sei alberi del Giardino sono dedicati ai testimoni della memoria del Bene: Etty Hillesum, Jan Patočka, Raphael Lemkin e i giusti bresciani Mons. Carlo Manziana, Angelo e Caterina Rizzini e Teresio Olivelli.

Di seguito proponiamo alcuni stralci della riflessione di Francesca Nodari, direttore scientifico dell'associazione, sull'importanza di fare memoria e sul significato della creazione del Giardino dei Giusti a Brescia. L'intervento completo è disponibile nel box approfondimenti.


"[...] Contrastare il male «non significa comprenderlo o trascenderlo, ma piuttosto dirgli di no, resistergli.

[...] Il mondo orrendo dell’Olocausto è (perché è stato); ma non deve essere (e non doveva). Non deve essere (ed è stato), ma è (perché è stato). Il pensiero cadrebbe nell’evasività se si limitasse al “non dover essere”; e cadrebbe nell’impotenza paralizzata se affrontasse, inerme, solo il devastante “è”. Solo tenendo saldamente fermi nel contempo “è” e “non dover essere”, il pensiero può guadagnare una sopravvivenza autentica. Il pensiero, cioè, deve assumere la forma della resistenza».
Di qui la scelta alta di coloro che, di fronte all’estremo, scelsero la speranza e non la disperazione in nome di quella santificazione della vita che risuona in un modo solo apparentemente paradossale nelle parole del rabbino Izchaq Nissenbaum, che morì nel Ghetto di Varsavia nel 1943, coniando l’espressione qiddush ha-chajim. Come ricorda Massimo Giuliani «d’ora in avanti per gli ebrei il vero qiddush ha-Shem non sarebbe stato morire da martire ma vivere, anzi sopravvivere, resistere, non soccombere in alcun modo».

Di nuovo – ed è questa la terza costante che emerge dagli incontri di Fare memoria – una «resistenza che non sia nel “mero pensiero”, ma in un’azione pubblica, in una vita in carne ed ossa» che, se così si può dire, trova la sua scaturigine da quell’intuizione che il Levinas captif dello Stalag 1492 situato nel campo per prigionieri speciali nella Regione di Hannover maturò in un clima di privazione totale, ove ad evenire, nella messa tra parentesi dell’io stesso – epoché esistenziale che Levinas non esita a paragonare alla riduzione dello Shabbat  – non è altro che la scoperta del fondamento ultimo della mia umanità. Scoperta sollecitata, come ha mostrato Bernhard Casper, da una domanda cruciale: «perché mai posso esserci in quanto me stesso? La risposta a questa domanda, trovata da Levinas nel radicale essere-messi-in-questione in quanto se stessi nello Stalag 1492 – scrive Casper –  è la seguente: puoi essere te stesso perché sei chiamato a questo, sei designato, sei eletto, per rispondere all’Altro in quanto se stesso. In ciò consiste la tua dignità, che nessuno ti può togliere. E ciò rimane vero anche se ti si uccide. Grazie a questa somma elezione incondizionata, puoi esserci in quanto te stesso, anche qui ed ora, nell’umiliazione che sperimenti in questo campo di prigionia. Si può esprimere quest’ultima idea ineludibile anche nel modo seguente: la dignità incondizionata di ogni persona, dignità che assolutamente non può essere eliminata, consiste nella sua re-sponsabilità nei confronti dell’Altro. […] In ultima istanza la nostra umanità si mostra nel fatto che ci troviamo chiamati ed eletti per rispondere dell’altra persona in quanto se stessa, per assumere con la nostra esistenza corporea e mortale la responsabilità per essa o, come dice Levinas nelle sue opere successive, per essere “ostaggio” per essa» . Di qui la ripresa, come osserva lo stesso Casper, della seconda formulazione dell’imperativo categorico di Kant in ciò che l’ebreo lituano chiama felix culpa, riprendendo questo teologumeno in chiave pre-cristiana e traducendolo «anche con le parole “Non uccidere l’Altro” e insieme “Non lasciarlo solo nel suo essere mortale”».

Se si guarda alle figure che saranno onorate, nella prima edizione della Giornata Europea dei Giusti, durante la cerimonia di inaugurazione del Giardino dei Giusti di Brescia –  iniziativa che la nostra Associazione promuove in partnership con Gariwo e il Comune di Brescia e in collaborazione con la Casa della Memoria cittadina in un’area dedicata del Parco Tarello – si nota come il fatto dell’essere giusti passi – pur nella pluralità e nella diversità delle scene del male in cui ciascuno si è trovato a dover far fronte –, per un verso, attraverso gesti, atti concreti – diciamo pure di resistenza incarnata –, per l’altro attraverso l’opposizione ferma e convinta all’ottusa obbedienza al potere, alla cui origine sta, come ha mostrato in maniera illuminante Simona Forti nel suo volume I nuovi demoni, un ripensamento del male politico che vada al di là del paradigma Dostoevskij – teso nella dicotomia tra soggetto onnipotente e vittima assoluta – puntando «lo sguardo non tanto sulla “colpa” della trasgressione quanto sulla subdola normatività del non-giudizio, fatta propria ed esaltata da quella morale che così spesso ci ha insegnato che giudicare è il segno della superbia, è l’ombra del primo peccato commesso dai progenitori: il peccato della disobbedienza. […] “I demoni assoluti” esistono – spiega la filosofa – ed esistono ancora oggi, ma se loro iniziative hanno successo è perché si integrano perfettamente con il desiderio di tutti coloro che, troppo occupati a consolidare le loro opportunità di vita, si adeguano senza reagire»".

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