La richiesta dell’Ambasciata bulgara di intitolare un incrocio di Washington a Dimitar Peshev ha
provocato un acceso dibattito tra la municipalità, l’Ambasciata stessa e
il Museo dell’Olocausto di Washington D.C., ripreso nelle pagine di Haaretz e del Washington Post.
La questione è nata a dicembre, quando l’Ambasciata ha inviato una lettera al Consiglio di Washington chiedendo di intitolare un incrocio al
vicepresidente del Parlamento bulgaro durante l’occupazione nazista che
salvò 48mila ebrei bulgari dalla deportazione. Peshev infatti, una
volta scoperti i piani di re Boris III e del Primo ministro Filov
di deportare gli ebrei nei lager nazisti, fece firmare una lettera di
protesta ai parlamentari del suo Paese e si recò dal Ministro
dell’interno per fermare i treni diretti ai campi. Per questa azione di
salvataggio Dimitar Peshev ha ricevuto il titolo di Giusto tra le Nazioni dal Museo di Yad Vashem.
Ad
innescare la polemica è stato il riferimento, contenuto nella lettera, a
un trattamento positivo degli ebrei da parte della Bulgaria durante la
Seconda guerra mondiale.
Il Museo dell’Olocausto di
Washington ha dichiarato che la richiesta dell’Ambasciata sorvola una
storia molto più complicata, e che ogni onoreficienza deve essere
guardata in un contesto più ampio. In particolare vengono contestate la
definizione usata nella lettera della Bulgaria come “paese occupato dai
nazisti” e l’affermazione che nessun ebreo bulgaro è stato deportato nei
campi di sterminio - passando sotto silenzio la deportazione di più di
11mila ebrei di Tracia e Macedonia. Il Museo ha visto in queste
parole il tentativo di distorcere la storia della comunità ebraica
bulgara in favore del governo del Paese.
Il tono della risposta
del Museo è stato accentuato da una conferenza tenutasi nel marzo
scorso, in occasione del 70esimo anniversario del salvataggio degli
ebrei bulgari, durante la quale il Parlamento bulgaro ha condannato la
deportazione degli ebrei di Tracia e Macedonia, senza però assumersene
la responsabilità storica - sostenendo che il governo non aveva la possibilità di fermare questa decisione.
L’Ambasciatrice
bulgara a Washington, Elena Poptodorova, si è sentita “insultata” dalle
parole del Museo. “La richiesta ha a che fare solo con Dimitar Peshev -
ha dichiarato -senza alcun tentativo di risolvere problemi e questioni
più grandi”.
Il Consiglio di Washington deciderà in merito
alla richiesta di onorare Peshev il prossimo 28 maggio. “Per me, il
punto centrale è capire se Peshev debba essere onorato con una dedica di
una strada - ha dichiarato il Presidente del Consiglio di D.C. Phil Mendelson - non la retorica eventualmente usata dall’Ambasciata bulgara o dal Museo”.
Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo e autore del libro L’uomo che fermò Hitler,
dedicato alla figura di Peshev, ha scritto una lettera a Mendelson, che
verrà distribuita a tutti i consiglieri di Washington (disponibile nel box approfondimenti).
Nissim ricorda che Dimitar Peshev è stato l’unico politico di un Paese
filo-tedesco ad avere il coraggio di fermare la deportazione degli
ebrei, e che il suo esempio è fondamentale per la memoria
dell’Olocausto.
La storia della Bulgaria è certamente molto complessa, ma questa confusione crea un risultato paradossale.
Cercare di arginare eventuali tentativi di riabilitare re Boris agli
occhi della Storia e del mondo - dimenticando quindi la deportazione
degli ebrei di Tracia e Macedonia - attraverso l’opposizione alla dedica
di una strada a Peshev, crea confusione sulle figure dei salvatori.
Peshev è riuscito a salvare solamente gli ebrei bulgari e non quelli di
Tracia e Macedonia, ma non per sua volontà. La decisione è venuta
infatti da Boris III e dal Primo ministro Filov, che non hanno fermato
la deportazione degli ebrei dei territori occupati e hanno invece
cercato di ostacolare l’azione di Peshev.
Invece di biasimare il comportamento del governo bulgaro si è così creata una polemica contro Dimitar Peshev, che rischia di mettere in ombra il suo ruolo di salvataggio.