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Jan Karski, una "missione per l'umanità"

note a margine del convegno a lui dedicato

 di Anna Maria Samuelli, Commissione educazione Gariwo


Una giornata, quella di lunedì 13 marzo 2013 interamente dedicata a ripercorrere la figura e l’opera di Jan Karski (nome di battaglia di Jan Kozielewski) - un Giusto, un testimone inascoltato della Shoah. Dal 1982 c’è un albero a suo nome allo Yad Vashem e il 7 aprile 2011 gli sono stati dedicati un cippo e un albero al Giardino dei Giusti del Monte Stella a Milano.
Il convegno è stato organizzato dal Consolato Generale della Repubblica di Polonia a Milano, dal Museo di Storia della Polonia e dal Dipartimento di lingue e letterature straniere e di Studi storici dell’Università degli Studi di Milano, in occasione della pubblicazione dell’edizione italiana di La mia testimonianza davanti al mondo (Adelphi), scritto da Karski nel 1944 e ignorato per anni.

La figura di Karski è stata riportata in vita da Claude Lanzmann con il documentario Shoah. La presentazione del libro e l’inaugurazione della mostra nel loggiato sopra la Chiesa dell’Università di Via Festa del Perdono sono stati i momenti conclusivi della giornata di studi a lui dedicata.

Tanti luoghi nella geografia del sito di Gariwo parlano di Jan Karski, e propongono una biografia esauriente, articoli di storici e saggisti e resoconti della cerimonia organizzata dall’Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano.

Quali i risultati del convegno?
Le storie dei giusti sono sempre uniche e speciali. Lo sguardo di Karski puntato sulla vita nella Polonia occupata penetrava nello stato segreto clandestino che diventava per lui, diplomatico di professione, l’infrastruttura della sua “missione per l’umanità”. Maciel Podbielkowski, del Museo dell’Insurrezione di Varsavia, ha ricostruito dettagliatamente nella sua relazione obiettivi, struttura e compiti dell’organizzazione clandestina militare e civile dell’Armia Kraiowa, che possedeva il più grande esercito clandestino dell’intera Europa occupata (200.000 uomini) e che accolse Karski nelle sue fila.
La vita di Karski nella resistenza polacca cominciò con il primo incarico di consegnare il rapporto sulla situazione del Paese al governo clandestino in Francia nel gennaio del 1940. Arresti, prigionia e torture lo portarono fino al tentativo di suicidio, ma Karski sopravvisse. Il suo destino era segnato da un compito: diventare “emissario per l’umanità”, facendo in modo che il mondo non distogliesse lo sguardo dagli orrori che lui aveva voluto vedere con i suoi occhi nel ghetto di Varsavia e nel campo di transito di Izbica:

“Per noi, polacchi, c’era la guerra e l’occupazione. Per loro, ebrei, c’era la fine del mondo. Erano stati condannati a morte soltanto per il fatto di …esistere” Jan Karski.

In queste sue parole è racchiusa la sostanza dei crimini contro l’umanità, dei “crimini senza nome” che hanno segnato l’intero ventesimo secolo, per definire i quali il giurista di origine polacca Raphael Lemkin ha creato il termine “genocidio”. Marcello Flores,  nell’intervento di apertura della giornata, ha accostato Jan Karski e Raphael Lemkin, figure esemplari accomunate dall’impegno di testimoniare la verità del male estremo: il primo per indurre il mondo occidentale ad agire e il secondo per indurre tutti gli Stati del mondo a riconoscere, condannare e prevenire il crimine di genocidio. Percorsi ed esiti esistenziali simili, segnati dalle ferite dei tanti “non posso credere” o “non posso ascoltare”.
Una figura, quella di Karski, che Carla Tonini ha affrontato in una lucida analisi storica, con l’obiettivo di distinguere mito e realtà cresciuti in questi anni intorno alla sua vicenda, in una Polonia dove la memoria vive spesso nella divisione tra vittime ed eroi.
Il tema delle motivazioni di fondo che hanno spinto i giusti e i testimoni di verità ad agire è stato analizzato da Carla Tonini mettendo a confronto le figure esemplari di Karski e di Zofia Kossak. Empatia e identificazione immediata con la sofferenza delle vittime, adesione ad una fede e ad un ideale che ti spinge a reagire contro il male estremo, a sospendere ogni castello teorico, ogni fondamentalismo in funzione della necessità di “prendersi cura” di chi è sprofondato nella sofferenza estrema.
Figure complesse, quelle dei Giusti, segnate da molte contraddizioni che tuttavia non fanno altro che renderli semplicemente esseri umani.

Varsavia cerca di vincere la gara con Milano, perché nessuna città ha reso tanto onore al messaggero dell’umanità, ha affermato Eva Wierzinska, promotrice del programma “Jan Karski – una missione incompiuta”, mentre scorrevano sullo schermo le immagini del riconoscimento tributato a Karski nel 2011 al Giardino dei Giusti di Monte Stella.
La Shoah, che Jan Karski ha definito “il secondo peccato originale”, non ha impedito altri genocidi - ha osservato Eva Wierzinska - perché la storia ha dimostrato che più che gli Stati e i governi sono gli uomini che si devono assumere il compito di contrastare il male:

“Consegnai all’Occidente le informazioni sulle dimensioni dell’Olocausto, ma nessuno se ne curò. I politici e i militari non avevano tempo di occuparsi dei crimini contro gli ebrei. Volevano vincere la guerra con l’aiuto non dei partigiani, ma dei propri carri armati e dei propri aerei”Jan Karski.

Mentre altre figure si fanno più piccole, ha continuato Eva Wierzinska, la sua ingigantisce.  Karski ci dimostra che il presupposto della speranza è la libertà, che siamo noi a decidere se guardare o girare il capo dall’altra parte; oggi potrebbe nascere un nuovo Karski, conclude, e allora la sua missione sarà compiuta.
Per sottolineare il valore educativo e formativo della storia dell’emissario Karski, in uno dei  
pannelli della mostra vengono riportate le parole di Elie Wiesel:

Il messaggio umano e umanistico di Jan Karski ebbe un significato che né il tempo, né le forze del male riuscirono a cancellare o a dilavare. Grazie a lui le generazioni future potranno credere nell’umanità…

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