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Prendiamoci cura delle persone

intervista a Vitalij Jaroshevskij

Vitalij Jaroshevskij

Vitalij Jaroshevskij

In occasione dell'inaugurazione a Milano del giardino dedicato ad Anna Politkovskaja, giornalista russa uccisa nel 2006, Gariwo ha intervistato Vitalij Jaroshevskij, vicedirettore della Novaja Gazeta, il giornale per cui lavorava Anna. È stata l'occasione per parlare dell'impegno della giornalista, della libertà di espressione in Russia e dell'insegnamento che Anna Politkovskaja ha lasciato. Ecco cosa ci ha detto Jaroshevskij.

Qual è l’importanza della dedica di un giardino alla memoria di Anna Politkovskaja?

Innanzitutto vorrei ringraziare molto gli italiani, perché per il ricordo di Anna Politkovskaja fanno molto più dei russi. A Mosca si intitolano vie a chiunque, ma non si riesce a dedicare nemmeno un vicolo ad Anna Politkovskaja. Lei era una giornalista scomoda, e come tutte le persone scomode al potere, lo è diventata ancora di più dopo la morte. Questa è un’operazione politica, e - soprattutto in Russia - dove inizia la strumentalizzazione finisce il ricordo. Ma la memoria non può e non deve essere vantaggiosa o svantaggiosa per qualcuno: il ricordo è ricordo.
Esistono delle forti ostacoli alla memoria di Anna. Nella casa dove è stata uccisa c’è una targa che ricorda l’accaduto, ma non è un monumento ufficiale.
Finalmente le autorità ci hanno dato il permesso di collocare, nel prossimo ottobre, una targa in suo onore nella sede della Novaja Gazeta, dove lei lavorava. Ma questo è troppo poco, perché sarà l’unico luogo ufficiale per ricordare Anna.
In generale il ricordo è un’operazione molto complessa, ed è una grossa responsabilità che ci portiamo sulle spalle. Tuttavia il suo esempio è molto importante anche per chi è lontano da Mosca, per chi lavora in zone di guerra o vive in situazioni drammatiche.
E mi pare che la città di Milano sia riuscita a intraprendere al meglio questo processo di memoria.
Vi sono molto riconoscente, perché voi state facendo quello che vorrei farei io... E sono qui a dirvi grazie anche a nome dei giornalisti e dei lettori della Novaja Gazeta.


Come è stata vissuta dai media russi la morte della giornalista? E il processo ai suoi assassini?

In Russia non hanno mostrato e non mostrano nulla. Il ricordo è sempre legato a ragioni di interesse, e lo si è visto anche in occasione dell’uccisione di Anna. Dopo la sua morte i giornalisti russi hanno trattato la storia come una semplice notizia e non come una catastrofe, e questo interesse iniziale si è dissolto molto presto, dopo poche settimane.
Diverso è stato l’atteggiamento dei media stranieri che, per tutto l’anno successivo alla morte di Anna, sono venuti da noi per raccontarne la storia. Abbiamo incontrato il New York Times, El Pais, La Repubblica, la CNN, persino la televisione mongola. E poiché ho conosciuto questi colleghi e ho risposto alle loro domande, posso dire che non si è trattato solo di interesse professionale, ma piuttosto di qualcosa di più profondo, più sentito: c’era grande sentimento e trasporto in quello che stavano facendo.
Non posso dire lo stesso per i colleghi russi. Ho avuto quasi l’impressione che nel mio Paese per un giornalista occuparsi delle morti sia un elemento che ne scredita la professione.


In Russia è cambiato qualcosa dopo la morte di Anna Politkovskaja, in particolare nell’informazione?

Nulla di sostanziale. Dopo la morte di Anna sono stati uccisi altri 3 giornalisti. Due di loro si occupavano di movimenti antifascisti, e sono stati assassinati proprio per questo. Per noi tutto ciò è un fenomeno inspiegabile...Fino a poco tempo fa pensavo che in Russia non potessero esserci fascisti e nazisti, ma invece ora so che ci sono, e che uccidono.
La terza giornalista assassinata, Natalia Estemirova, si occupava di Cecenia, come Anna. E ha trovato la morte proprio in quel Paese.
È chiaro che tutte queste uccisioni sono dimostrative, hanno lo scopo di incutere terrore.
Per quanto riguarda la situazione della Novaja Gazeta, non ci siamo spaventati. Anzi, dopo la morte di Anna nessuno ha pensato di lasciare la redazione. Ma non tutti reagiscono così.
L’uccisione dei giornalisti è la forma più estrema di censura, ma in Russia non mancano mezzi più sottili per limitare la libertà di espressione. Basti pensare alle pressioni che vengono esercitate sui quotidiani, o alla gestione di problemi economici per finanziare le varie testate.


Proprio in riferimento a questo aspetto, la legge che proibisce alle organizzazioni non governative di ricevere fondi dall’estero, pena la definizione di agenti stranieri e la possibile chiusura, è un forte ostacolo alla libertà di opinione e alla manifestazione del dissenso. Negli ultimi anni, come è cambiata la protesta in Russia?


I movimenti di protesta sono rimasti deboli, non sono emersi veri leader in grado di guidare la folla e di convincere le persone della forza e dell’efficacia del movimento. Di conseguenza la gente ha paura, perché sa che partecipare a una manifestazione ormai significa andare incontro a processi e arresti. Proprio in questi giorni potrebbero essere condannati 30 giovani che hanno partecipato alle proteste dello scorso anno.
Durante le dimostrazioni ci sono sempre disordini tra i partecipanti e le forze dell’ordine, per spaventare le persone che restano in piazza... E questa è un’operazione che è sicuramente riuscita al potere.
Il 5 dicembre 2011, dopo le elezioni parlamentari, si è svolta a Mosca, non lontano dalla nostra redazione, una manifestazione non autorizzata. Abbiamo preso parte a questa dimostrazione e abbiamo visto la polizia usare la forza contro la protesta. Quel giorno in piazza c’erano 10mila persone, che nel giro di pochi giorni - dal 5 al 10 dicembre - sono diventate 100mila, alcuni dicono anche 150mila. Era una folla immensa, fatta di persone “di qualità”. Cinque giorni però sono un tempo troppo limitato, e nonostante la speranza data dalla grande partecipazione, il potere non ha prestato attenzione alle nostre voci. Questo processo immenso si è arrestato, non è riuscito a sbocciare come avrebbe dovuto.


Per quanto riguarda l’opposizione, si sta creando un “dopo-Putin”?

Ci sono dei singoli partiti che contrastano Putin, ma sono troppo deboli perché ne possa nascere un vero movimento di opposizione capace di vincere le elezioni. Tuttavia questo non significa che si debba rinunciare alla protesta. E per fare questo ci vuole tempo, ci vogliono le forze, i giornali, le persone, le idee.


Cosa può insegnare la vicenda di Anna Politkovskaja alla Russia di oggi? E più in generale, qual è la sua eredità?

Anna difendeva le persone. Anche in redazione arrivava sempre qualcuno per lei: madri che avevano perso i figli, padri che avevano perso la famiglia, famiglie che avevano perso i padri, situazioni molto difficili.
La prima reazione dei giornalisti è quella di rifiutarsi di affrontare tutte queste tragedie, cercando una scusa per non occuparsene. Tendiamo ad allontanarci dal dolore degli altri.
Anna non era così, non evitava la sofferenza di chi cercava aiuto. Lei non solo ascoltava le persone, ma provava a salvarle scrivendo i suoi articoli. Per lei era un dovere aiutarle. Dopo la sua morte queste persone sono sparite, non sono più tornate in redazione.
Io stesso non posso capire fino in fondo perché lei si occupasse di tutto ciò, è qualcosa che va oltre la professione giornalistica. Alla Novaja Gazeta lavoriamo costantemente nel ricordo dei reporter caduti: la riunione di redazione avviene in una stanza sulle cui pareti sono appese le foto dei giornalisti uccisi. Posso dire che tutti i colleghi sono persone molto coraggiose...Nessuno però dedica anima e corpo alla ricerca della verità come faceva lei.
Credo che sia proprio questa la lezione che tutti noi possiamo imparare da Anna: prendiamoci cura delle persone. Seguendo questo suo insegnamento, mi sembra di poter dire che lei sia ancora con noi, che non l’abbiamo lasciata.

12 giugno 2013

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