La Moschea Blu, immagine simbolo di Istanbul (foto di goolliver)

Erdogan aveva già accusato Twitter di essere scandaloso e sovversivo all'inizio della rivolta di Gezi Park. Ora torna all'attacco per il tramite del suo Ministro delle Comunicazioni Binali Yildrim, che ha dichiarato: "Quando abbiamo bisogno di informazioni su quanto viene postato, vogliamo vedere un responsabile in Turchia che ce le possa fornire di persona. Ci vuole un interlocutore per quando abbiamo una rimostranza da fare o un errore da correggere".
Né Twitter, né Facebook hanno un ufficio sul Bosforo, benché in Turchia i social network siano molto popolari. Il ruolo che hanno nelle proteste inquieta le autorità, che vorrebbero controllarli rigidamente. 

Secondo Yildrim però Facebook si distinguerebbe da Twitter: il Ministro ha infatti dichiarato che "Facebook lavora in coordinamento con noi da molto tempo. Non abbiamo alcun problema con loro". Tale affermazione secondo la BBC ha portato a illazioni sul fatto che Facebook abbia potuto fornire al governo i dati degli attivisti. Facebook smentisce anche solo di aver ricevuto richieste in merito.

Marco del Corona sul Corriere rende noto che i post sui social network mettono nei guai scrittori e intellettuali dissidenti ormai molto di più dei loro libri. In base a una ricostruzione che contempla Paesi sia dittatoriali che democratici, il giornalista ha mostrato sul Corriere che nei diversi contesti a essere colpito maggiormente è ormai chi fa circolare documenti online. L'esempio forse più sconvolgente è quello del manifesto Carta '08 diffuso da Liu Xiaobo, che è poi stato condannato a 11 anni e non ha neanche potuto ritirare il Premio Nobel per la Pace.