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L'indipendenza dimenticata

le donne sahrawi e l'autonomia dal Marocco

Il Sahara occidentale è l’ultimo avamposto della decolonizzazione. Ex possedimento spagnolo, è controllato dal Marocco nonostante la popolazione locale ne abbia rivendicato l’indipendenza dal 1976, con la creazione della Repubblica Democratica Araba Sahrawi.

Riconosciuta da alcuni Stati, prevalentemente africani, la RDAS è da decenni al centro degli scontri - terminati formalmente nel 1991 - tra il governo marocchino e gli indipendentisti del Fronte Polisario, nel silenzio della comunità internazionale. Nel 2007 infatti l’ONU ha ribadito il suo impegno per una soluzione politica della questione, ma di fatto non è stato compiuto alcun passo avanti.

Oggi sono le donne a portare avanti le ragioni dell’indipendenza dal Marocco, con un movimento pacifico creato quando i loro mariti erano impegnati nella guerra degli anni ’70. E in una regione a maggioranza musulmana, in cui le figure femminili sono spesso ai margini della politica, le donne sahrawi occupano un ruolo centrale nel movimento indipendentista. “Un vero orgoglio per noi”, come ha commentato la candidata al Premio Nobel per la Pace Aminatou Haidar.

Il loro ruolo nella protesta può essere spiegato con le origini nomadi dei sahrawi: fino all’inizio del XX secolo, le donne erano spesso lasciate ad amministrare i villaggi mentre gli uomini erano lontani. Questa tradizione è continuata anche durante gli scontri tra Fronte Polisario e Marocco degli ultimi decenni, portando le donne ad acquisire una posizione fondamentale nella società. Oggi le donne hanno impieghi importanti - anche per il governo marocchino - godono di libertà di espressione e possono divorziare senza ritorsioni.

La loro protesta tuttavia incontra l’ostilità del governo marocchino, che rivendica il Sahara occidentale come parte del suo territorio dal 1976, anno dell’allontanamento spagnolo.

Gli Stati Uniti e altre nazioni occidentali non riconoscono la sovranità marocchina sul territorio e si affidano alla missione MINURSO delle Nazioni Unite, che tuttavia non è riuscita a indire un referendum popolare per risolvere la questione. In particolare, gli scontri tra Marocco e Polisario hanno addirittura impedito la compilazione degli elenchi dei votanti.

Dopo anni di proteste, a rinnovare le manifestazioni è stata la mancata istituzione, da parte del Consiglio di sicurezza, di una missione di peacekeeping per monitorare il rispetto dei diritti umani nell’area. Gli Stati Uniti, dopo aver lanciato la proposta, hanno ritirato il progetto a causa dell’opposizione del Marocco, che aveva cancellato un’esercitazione militare congiunta con le truppe americane.

Le donne sahrawi agiscono anche al di fuori dei confini del loro territorio. Dal deserto algerino in cui sono emigrate durante la guerra, alle zone occupate dal Marocco, agli Stati in cui oggi vivono, cercano di riunire le famiglie, diffondono informazioni e aiutano malati, feriti, mutilati, bambini e anziani del loro popolo.

Questo percorso non è stato facile. Per il loro ruolo nella lotta per l’indipendenza le hanno pagato un prezzo altissimo, fatto di torture, violenze e detenzione. Dal 1975 sono state 4.500 le vittime sahrawi di sparizioni forzate e arresti senza processo, e di 500 di loro si è persa ogni traccia. Le guardie marocchine prelevavano chiunque parlasse di indipendenza, e alle donne spettavano violenze atroci. “In carcere mi hanno torturata con i fili elettrici e fatta sfilare nuda davanti ai soldati - ha raccontato Elghalia Djimi, sopravvissuta alle torture e oggi attivista per i diritti umani - Ora poi non ho più capelli, perché mi hanno torturata legandomi a testa in giù su un tavolaccio e versandomi addosso un liquido che odorava di alcol. Mi hanno permesso di lavarmi solo tre mesi dopo: i miei capelli sono caduti a ciocche”.

8 luglio 2013

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