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Il bambino. Varsavia 1943: fuga impossibile dall'orrore nazista

di Dan Porat Rizzoli, Milano, 2013

La distruzione del ghetto di Varsavia in una foto, diventata poi simbolo dell'intero Olocausto. Un bambino. Le braccia alzate. Lo sguardo smarrito. 
Lo scatto compare all'interno del rapporto - dal titolo Il quartiere ebraico di Varsavia non esiste più - che il generale delle SS Jurgen Stroop inviò a Himmler e Krüger, suoi diretti superiori, per testimoniare la distruzione del ghetto, dove vennero deportati o uccisi 56.065 ebrei.
Lo storico Dan Porat prende le mosse da quest'immagine e dalle altre fotografie allegate al rapporto per raccontare quelle tragiche quattro settimane di distruzione.

Porat racconta le vicende di Stroop, di Konrad - il fotografo incaricato che documentò con perizia gli incendi appiccati, i cadaveri, le uccisioni e le umiliazioni degli ebrei e, per questo, alla fine della guerra, fu condannato a morte da un tribunale polacco - e di Blösche - membro della Gestapo che compare dietro al bambino nella fotografia - ancor prima dell'inizio della guerra. Un impiegato, un magazziniere e un contadino che sono entrati a far parte della macchina del male creata da Hitler.

Ma lo scrittore non si sofferma solo sulle figure negative della vicenda e racconta anche la storia di Rivkah Trapkowits, una ragazza della resistenza del ghetto che è riuscita a fuggire alla deportazione, e di Tsvi Nussbaum, sopravvissuto al campo di Bergen-Belsen e, molto probabilmente, il protagonista della famosa fotografia.

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