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L'altro 11 settembre, 40 anni dopo

l'anniversario del golpe cileno del 1973

“Pagherò con la mia vita la difesa dei principi che sono cari a questa patria. Cadrà la vergogna su coloro che hanno disatteso i propri impegni, venendo meno alla propria parola, rotto la disciplina delle Forze Armate. Il popolo deve stare all’erta, vigilare, non deve lasciarsi provocare, né massacrare, ma deve anche difendere le sue conquiste. Deve difendere il diritto a costruire con il proprio lavoro una vita degna e migliore. Viva il Cile, viva il popolo, viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole, ho la certezza che il sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una punizione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”.


Questo uno stralcio del discorso pronunciato da Salvador Allende, Presidente del Cile, poco prima di morire durante l’assalto al Palazzo della Moneda l’11 settembre 1973.

Il golpe del Generale Augusto Pinochet era iniziato, truppe e carri armati circondavano il palazzo, le forze aeree bombardavano le antenne radio e la Moneda, simbolo della democrazia cilena. Terminava così tragicamente il Governo di Unità Popolare, coalizione di centro-sinistra guidata da Allende, e aveva inizio la dittatura di Pinochet, che tra il 1973 e il 1990 ha causato più di 3mila vittime e circa 1200 desaparecidos.

Nel 40esimo anniversario del golpe, l’Associazione nazionale dei magistrati cileni ha chiesto perdono per le azioni e omissioni commesse durante una delle dittature più sanguinose dell’America Latina, che con l’aiuto della DINA, polizia segreta del regime, e della famosa Carovana della morte guidata da Sergio Arellano Stark, fu responsabile dell’arresto e della tortura di più di 40mila persone.

In un documento scritto ripreso dai media nazionali e internazionali, i giudici hanno ammesso la responsabilità storica del potere giudiziario dell’epoca, riconoscendo che “La nostra magistratura è incorsa in azioni o omissioni improprie per la sua funzione, essendosi rifiutata, salvo eccezioni isolate ma coraggiose che ci onorano, di prestare protezione a coloro che reclamarono più volte il suo intervento. [...] Occorre dirlo e riconoscerlo con chiarezza e interezza: il potere giudiziario, e in special modo la Corte Suprema dell’epoca, vacillarono nel loro lavoro essenziale di tutelare i diritti fondamentali e proteggere coloro che furono vittima dell’abuso dello Stato”.

“Senza ambiguità né equivoci – si legge nel documento – riteniamo che sia giunta l’ora di chiedere perdono alle vittime, ai loro familiari e alla società cilena per non essere stati capaci in questa fase cruciale della storia di orientare, interpellare e motivare la nostra istituzione e i suoi membri così da non desistere dall’esecuzione dei loro doveri più elementari e imperdonabili, ovvero il compimento della funzione cautelare che in se stessa giustifica e spiega l’esistenza della giurisdizione”.

Al messaggio dei magistrati - e a una petizione lanciata da Amnesty International per chiedere l'eliminazione di tutti gli ostacoli che proteggono i responsabili di violazioni dei diritti umani - si è aggiunto l’appello del Presidente cileno Sebastian Pinera, che ha invitato chiunque abbia informazioni sui desaparecidos della dittatura a farsi avanti per aiutare a guarire le ferite del Paese. Ferite che ancora dividono la popolazione. Un sondaggio fatto proprio per il quarantennale dimostra infatti che secondo il 41% dei cileni il responsabile del golpe fu Pinochet, mentre il 9% attribuisce la colpa ad Allende e un 26% non sa o non risponde. Secondo il 74% della popolazione, inoltre, le divisioni di quel periodo “non sono state ancora dimenticate”.

In questo contesto, il Presidente Pinera ha dichiarato che il 40esimo anniversario del golpe dovrà essere momento di riflessione, per “imparare insieme dagli errori del passato e illuminare la strada verso il futuro”.

10 settembre 2013

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