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Hu Jintao, accuse di genocidio

per le violenze in Tibet

La sezione penale della Corte di Cassazione spagnola ha accettato la denuncia per genocidio presentata dal Comitato di Sostegno al Tibet - parte dell’International Tibet Network, una coalizione internazionale formata da 185 associazioni - ai danni dell’ex presidente cinese Hu Jintao. La riapertura del processo è stata possibile grazie al ricorso del Comitato e di Thubten Wangchen, direttore della Casa del Tibet a Barcellona.

La Corte di Cassazione spagnola ha accettato la richiesta dei ricorrenti, giustificando la propria giurisdizione sulla base della nazionalità spagnola di Wangchen e della competenza residuale della Corte nazionale, in grado di esprimersi cioè solo in presenza di determinate condizioni in merito a eventi avvenuti in altri Paesi. La Spagna ha verificato infatti la presenza di una di queste condizioni, l'assenza di indagini da parte del Paese in cui è stato commesso il crimine, specificando che "non ci sono prove del fatto che le autorità cinesi abbiano avviato alcuna ricerche sui fatti addotti nella denuncia iniziale", presentata nel 2008.

Nel giugno scorso la Corte di primo grado aveva rifiutato di estendere l’accusa di genocidio all’ex presidente cinese, in carica fino al marzo precedente - e quindi protetto dall’immunità diplomatica - e questa decisione aveva portato a un secondo grado di giudizio. I ricorrenti in appello ribadivano il coinvolgimento diretto di Hu Jintao nelle violenze, basandosi sul fatto che l’uomo ha ricoperto la carica di segretario del Comitato del Partito Comunista Cinese della Regione autonoma del Tibet tra il 1988 e il 1992 - anni in cui si verificarono "una serie di azioni congiunte per eliminare l'esistenza della popolazione tibetana dal Paese stesso".

Le violenze, di cui vengono accusati altri 6 ex dirigenti cinesi, includono spostamenti forzati, campagne di sterilizzazione di massa, tortura dei dissidenti e trasferimenti di cinesi nel Paese - iniziati nel 1983 dal governo di Deng Xiaoping - messi in atto per dominare ed eliminare la popolazione indigena del Paese.

Questa decisione rappresenta un nuovo riconoscimento nella lotta per i diritti del Tibet, perché qualifica i fatti in questione come parti di un piano genocida. L’obiettivo della causa è ora quello di giungere a una condanna esemplare per il genocidio fisico e culturale perpetrato negli ultimi 50 anni dal governo di Pechino.

15 ottobre 2013

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