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Tatami

di Zar Amir-Ebrahimi, Guy Nattiv Georgia, Usa, 2023

Tatami è una storia sul coraggio che ci vuole per essere leali verso ciò che si è e nell'affrontare le conseguenze delle proprie scelte, girato da una donna e un uomo a cui quel coraggio certo non manca. Presentato in concorso a Venezia 80 e distribuito in 90 sale in occasione dell'8 marzo, il film di Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi esce oggi in Italia. Era il 2020 quando il regista israeliano Guy Nattiv ha iniziato a pensare a un film su una atleta iraniana a cui, durante un campionato internazionale, la Federazione del suo paese chiede di fare un passo indietro per non rischiare di incontrare l'avversaria israeliana. L'idea gli era venuta dalla cronaca, sulla scorta di vicende come quella della pugile iraniana Sadaf Khadem, che non ha più potuto tornare in Iran dopo aver vinto un incontro internazionale di boxe - la prima iraniana a farlo - senza hijab e la cui vittoria non è stata riconosciuta dalla Federazione di boxe della Repubblica islamica dell'Iran. E come la vicenda del judoka iraniano Saeid Mollaei, costretto a ritirarsi per non incontrare sul tatami l'israeliano Sagi Muki, e oggi atleta della nazionale dell'Azerbaijan.

Come nasce il film Tatami

Come racconta lo stesso Guy Nattiv a una platea piena per la proiezione del film in anteprima all'Anteo, il regista sapeva di non essere né una donna né una donna iraniana e che avrebbe avuto bisogno di lavorare con qualcuno che conoscesse la cultura del paese: per questo in prima battuta ha chiesto la collaborazione nella scrittura del film alla sceneggiatrice e interprete Elham Erfani. Nel 2022 l'attrice Zar Amir Ebrahimi vince il Prix d'interprétation féminine a Cannes per il ruolo in Holy Spider - nel film è una giornalista che, diversamente dalla polizia, indaga sulle tracce dello Spider Killer, un ex militare ultra religioso che in poco tempo attira e uccide più di una decina di prostitute nella città sacra di Mashhad - e Guy Nattiv capisce di aver trovato sicuramente la coprotagonista e forse la persona che può dirigere il film insieme a lui.

Sul piccolo palco dell'Anteo, Zar Amir Ebrahimi si stringe nelle spalle quando spiega che pur vivendo lontano dalla sua patria (l'attrice è andata in esilio nel 2008 e ha passaporto francese dal 2017) aveva le sue paure, perché un conto è accettare di recitare in un film e un conto è la sua produzione. Ma nel giro di pochi giorni Ebrahimi ha deciso di dirigere il casting e poi di mettersi per la prima volta dietro la macchina da presa, oltre a dare il volto al personaggio più complesso del film, l'allenatrice Maryam Ghambari.

Storia di un’atleta che non vuole scendere dal tatami

In un claustrofobico bianco e nero - bianco e nero come il modo di pensare del regime e anche come la divisa del judoka - Tatami è la storia di una atleta, Leila Hosseini, arrivata al campionato mondiale di judo a Tiblisi e determinata a vincerlo. Dopo un paio di incontri promettenti, la sua allenatrice riceve una chiamata dal presidente della Federazione iraniana di judo che invita Ghambari a far inscenare un infortunio di Hosseini e a ritirarsi prima della possibilità di incontrare l'atleta israeliana. Ghambari protesta ma procede con la richiesta alla judoka appena scesa dal tatami, che però si rifiuta. E continuerà a rifiutarsi nonostante l'abbandono della sua allenatrice e nonostante le minacce di ritorsioni si facciano sempre più pressanti e vicine e coinvolgano, oltre agli anziani genitori di Ghambari, anche i suoi cari a Teheran (ma non il marito e il figlio, che si mettono in fuga). Hosseini non cede davanti a niente e, dopo essersi liberata dell'hijab perché si sente soffocare, continua a lottare anche se sa che non potrà più farlo con i colori del suo paese e vivrà da quel momento in esilio.

Le due donne e una città che è solo un interno

Tatami è la storia di due donne - due atlete - molto diverse tra loro: una fisicamente molto libera e dalla potenza istintiva, l'altra trattenuta in un'abituale posa a braccia conserte ma non per questo meno forte. È Zar Amir Ebrahimi a spiegare quanto, in questo senso, si sia rivelata felice la scelta per la protagonista di Arienne Mandi, un'attrice con origini iraniane ma nata e cresciuta negli Stati Uniti, che in passato ha praticato la boxe e, per usare le sue parole, con un'altra fisicità e attitudine mentale. Un'interpretazione che funziona soprattutto a contrasto con quella della sua allenatrice sovrastata dalle minacce e che tiene il ritmo di un film girato quasi interamente all'interno delle sale e dei corridoi di un palazzo dello sport.

Anche se non un palazzo dello sport qualsiasi ma uno con una coerente e opprimente estetica dell'ex Unione Sovietica. Le riprese sono state infatti fatte a Tiblisi, in Georgia, capitale mondiale della disciplina sportiva e città a metà tra Tel Aviv e Teheran, sotto la copertura di un non meglio precisato lungometraggio sul judo, per evitare che fosse impedito loro di girare il primo film diretto da un regista israeliano e una regista iraniana.

Elisa Mariani, NuoveRadici.world

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